Un blitz che Mosca condanna e che Washington invece nella sostanza giustifica, pur ammettendo - per bocca del portavoce della Casa Bianca - che la situazione si va facendo di ora in ora più "pericolosa"
L’Ucraina sembra ormai “sull’orlo di una guerra civile“. Ne è convinto il premier russo Dmitri Medvedev sullo sfondo del blitz lanciato in queste ore da Kiev nell’est russofono del Paese. Un blitz che Mosca condanna (“profondamente preoccupati”) e che Washington invece nella sostanza giustifica, pur ammettendo – per bocca del portavoce della Casa Bianca – che la situazione si va facendo di ora in ora più “pericolosa” . Per gli Usa “Kiev ha il dovere di rispondere”. Intanto il presidente russo Vladimir Putin ha chiesto al segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon una chiara condanna.
La crisi ucraina ha avuto in effetti un’accelerazione molto temuta, forse inevitabile: incalzata dai nazionalisti di Maidan, che chiedevano risposte forti, Kiev ha deciso di far scattare quella che viene sbandierata come “operazione antiterrorismo“, usando l’esercito contro gli insorti filorussi che hanno occupato vari palazzi del potere in una decina di città nell’est del Paese. Secondo i media russi, l’attacco ha lasciato sul terreno dai quattro agli undici morti, oltre ad alcuni feriti: sarebbero tutti fra gli animatori della protesta.
“I progetti della Russia sono stati e restano brutali. Vogliono prendersi non solo il Donbass (il bacino del Don), ma tutto l’est e il sud dell’Ucraina dalla regione di Kharkiv a quella di Odessa”, ha tuonato il presidente ad interim Oleksandr Turcinov annunciando l’attacco a nord della regione di Donetsk. Le colonne di truppe e tank si sono dirette verso Slaviansk, diventato il simbolo della rivolta, ma il primo scontro è avvenuto 20 chilometri prima, a Kramatorsk, dove le forze di Kiev sono riuscite a riprender possesso dell’aeroporto militare.
Poco chiare le circostanze del blitz, nel quale secondo alcune fonti sarebbero stati usati pure alcuni caccia. Successivamente rinforzi ucraini sono sbarcati con elicotteri. I filorussi hanno diffuso notizie dell’arrivo dell’ esercito ucraino anche a Slaviansk, preparandosi a resistere, ma al momento non ci sono altri riscontri. Ci sono comunque testimonianze sull’avvicinamento di una colonna militare ucraina con alcune decine di blindati e carri armati, mentre Kiev ha confermato l’invio “al fronte” di un primo battaglione della Guardia nazionale, costituito di volontari delle forze di autodifesa del Maidan. Mosca si è detta “profondamente preoccupata” dalle notizie sulle vittime. Prima degli scontri, il capo della diplomazia russa Serghiei Lavrov aveva ammonito che l’uso della forza nell’est ucraino avrebbe annullato la riunione prevista giovendì a Ginevra tra Usa, Russia, Ucraina e Ue: “non si possono inviare i carri armati nello stesso tempo tenere un dialogo”. E Putin ha incalzato l’Onu chiedendo una chiara condanna delle azioni di Kiev.
In quello che ormai è un dialogo tra sordi, l’Occidente rivolge a Mosca la stessa accusa di soffiare sul fuoco, sostenendo che i suoi 40mila soldati al confine sono una pistola puntata alla testa e accusandola della regia di quanto succede nell’est ucraino. Come proverebbe, a prenderla per buona, una intercettazione telefonica diffusa dai servizi segreti ucraini con una serie di conversazioni illuminanti tra ‘sparatori’ e superiori a Mosca. Ma il Cremlino continua a negare di avere militari o 007 sul terreno ucraino. Il timore però è quello di una nuova ondata di sanzioni, questa volta economiche, che la Russia cerca di esorcizzare come “immotivate e controproducenti” sullo sfondo di un’economia che “continua a deteriorarsi”, come ha ammesso Medvedev riferendo di un tasso di crescita rallentato a +1 nel primo trimestre: per un gigante come la Russia equivale alla stagnazione. Lavrov cerca di tenere acceso l’ultimo spiraglio di dialogo, riconoscendo che l’iniziativa del premier ucraino Arseni Iatseniuk di avviare colloqui con il sud-est del Paese va nella giusta direzione, anche se in ritardo. Ma i più radicali del Maidan, che hanno protestato ieri sera e stamane davanti al parlamento, esigono misure forti contro i secessionisti filorussi. E hanno già chiesto le dimissioni di Turcinov e del ministro dell’interno. La campagna presidenziale, inoltre, continua ad essere turbata da episodi poco incoraggianti: Oleg Tsariov, candidato filorusso, è stato nuovamente picchiato a Kiev, anche da esponenti di Pravi Sektor, il movimento paramilitare di estrema destra protagonista del Maidan.