Si avvicina la scadenza imposta all’Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. A fine maggio a Strasburgo si potrebbe decidere di procedere alle condanne sui 4.000 ricorsi pendenti in relazione al sovraffollamento delle carceri italiane. Vista la media del risarcimento già stabilito in passato, si può ragionevolmente affermare che il nostro Paese rischia 28 milioni di euro di multe. Tutte assai meritate. Anche lasciando da parte le motivazioni etiche – ovviamente le prime in assoluto a imporsi – verrebbe da dire che, in epoca di spending review, all’Italia ben più converrebbe trattare bene le persone incarcerate piuttosto che maltrattarle.
La Corte procederà senza troppe lentezze, posto che con la sentenza Torreggiani dello scorso anno aveva già ammonito le autorità italiane a prestare massima attenzione. La questione è il troppo tempo passato dai detenuti in uno spazio eccessivamente ridotto e senza una vita comunitaria degna di questo nome. Una delegazione del Parlamento Europeo che alcuni giorni fa ha visitato il carcere napoletano di Poggioreale ha raccontato di essersi trovata di fronte a una situazione medievale indegna di esistere in un contesto europeo. Di questo parliamo, anche a questo si riferiscono i ricorsi pendenti davanti alla Corte di Strasburgo.
I numeri in questa fase sono essenziali. C’è o non c’è sovraffollamento? È garantito quel minimo di tre metri quadri a detenuto al di sotto del quale le istituzioni europee valutano si configuri automaticamente un trattamento degradante della persona? Quanti reparti sono attualmente in ristrutturazione e perché? I reparti chiusi vengono conteggiati come posti disponibili nelle statistiche ufficiali? Quante carceri nuove sono state aperte? Quante ore d’aria o di socialità fanno i detenuti? Quanti lavorano e per quanto tempo? Quanti vanno a scuola e che scuole seguono? Quanti sono i medici e che turni fanno? A che ora vengono aperte le celle la mattina? Esiste una sala mensa?
Sono queste le domande che di solito rivolgiamo ai direttori degli istituti quando giriamo per le carceri con il nostro Osservatorio sulle condizioni di detenzione in Italia. Una recente circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria inviata alle direzioni di tutti gli istituti di pena italiani afferma perentoriamente che non devono più essere fornite informazioni agli osservatori di Antigone, “onde evitare incoerenze pregiudizievoli in ordine all’immagine esterna dell’Amministrazione”.
Non ci pare che questa possa qualificarsi come quella trasparenza di cui il sistema penitenziario avrebbe bisogno. Su tale terreno si misura il rapporto tra istituzioni e società civile, su quanto le prime sono disposte a farsi osservare, misurare, giudicare dalla seconda. Durante un pubblico confronto con noi, i vertici dell’Amministrazione Penitenziaria hanno rivendicato la loro nota per quanto riguarda le capienze degli istituti – il tema fondamentale oggi che si avvicina la scadenza europea – sostenendo che informazioni fornite direttamente alla nostra associazione porterebbero a una disomogeneità dei dati.