Solo una coincidenza ha salvato l’Associazione delle banche italiane dalla gogna pubblica: le nomine ai vertici delle società controllate dal Tesoro hanno oscurato il “ricatto” (lo chiama così il sottosegretario Delrio) dell’Abi al governo. L’annunciato aumento dell’aliquota sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia dal 12 al 24-26 per cento, “sottrarrebbe un miliardo di liquidità alle banche destinato a fare prestiti a famiglie e imprese”, ha detto il direttore generale dell’Abi Giovanni Sabatini, in audizione in Parlamento.
Riassunto delle puntate precedenti: le banche italiane si sono trovate in bilancio quote del capitale della Banca d’Italia (quando erano pubbliche non c’era problema, era tutto dello Stato, poi sono state privatizzate e anche la proprietà della banca centrale è diventata di fatto privata). Per ragioni mai spiegate con chiarezza, il governo Letta decide di rivalutare per legge il capitale di Bankitalia: da 156 mila euro a 7, 5 miliardi, attingendo alle riserve, e cambiano le regole per calcolare i dividendi pagati proprio alle banche private che saliranno da 60-70 milioni fino a un massimo di 450. Benefici che già in parte risultano in conto economico dai bilanci appena approvati. In cambio di questo regalo, le banche dovevano pagare allo Stato il 12 per cento sulla rivalutazione (circa 900 milioni), prelievo che ora sembra destinato a raddoppiare per finanziare il taglio del cuneo fiscale. Non è bello cambiare continuamente le tasse, si crea incertezza.
Ma l’Abi non può permettersi di essere permalosa: secondo i dati di ieri, le sofferenze continuano a crescere, 162 miliardi, mentre il credito all’economia non smette di diminuire, -3, 2 per cento su base annua a marzo, segno che le banche non sanno fare benissimo il loro mestiere, diciamo. Ma l’Abi di Antonio Patuelli si permette di ricattare lo Stato, minacciando di scaricare su imprese e famiglie la tassa. Dimenticando alcuni dettagli, come quello citato dal Def: lo Stato garantisce 81, 7 miliardi di euro di passività delle banche italiane, una misura di emergenza del governo Monti. Non per affetto, ma per dare alle banche gli strumenti per continuare a sostenere l’economia. Invece che ringraziare tutti i giorni, le banche minacciano. In privato molti banchieri esternano i loro dubbi sull’Abi, se non sia più un danno (è stata guidata da Giuseppe Mussari di Mps…) che un aiuto per il loro business. Forse sarebbe il caso che qualcuno, nel credito, facesse come Sergio Marchionne in Confindustria e sbattesse la porta. O tutti i banchieri italiani approvano l’approccio Patuelli-Sabatini del ricatto allo Stato?