Secondo diverse stime, dall’inizio di quella che verrà ricordata nella storia come la Grande Recessione del 2008, l’Italia ha perso la bellezza di un milione di posti di lavoro.

I vari governi che si sono succeduti negli ultimi 5 anni continuano a parlare (a ragione) di emergenza occupazione e di come si rendano necessari interventi per il rilancio del mercato del lavoro. Il mantra imperante su tutti i fronti è quello che invoca un aumento della flessibilità e una riduzione del costo del lavoro. Quella che però mai e poi mai viene messa in discussione è la strategia che sta a monte del mondo del lavoro, ovvero i settori industriali su cui lo stato decide di investire i denari pubblici per ridare slancio all’economia.

La vulgata politica sostiene che se in Italia le cose vanno male sia solo e soltanto per colpa dell’austerity impostaci da Bruxelles che ci impedisce di tornare a crescere, come se noi italiani fossimo dei campioni di visione imprenditoriale a cui sono state tarpate le ali da parte di malvagi eurocrati invidiosi del nostro successo.

Certo, l’austerity non aiuta, ma ci sono diversi indizi che lasciano credere che il problema non sia tutto lì: un caso su tutti che può essere preso a spunto per una riflessione è la nuovissima autostrada BreBeMi che sarà inaugurata ai primi di luglio dopo 5 anni di lavori ostacolati dai residenti, da inchieste della magistratura, arresti di funzionari, dubbi fondati che sia stata utilizzata come luogo di stoccaggio di rifiuti pericolosi e un aumento dei costi del 70% rispetto a quanto previsto dal progetto originario. Il tutto per far cosa? Per creare una copia parallela dell’A4 che permetterà a tutti coloro che vogliono recarsi da Brescia a Milano di risparmiare ben 5 minuti della propria vita durante il percorso. La nuova BreBeMi è un’opera talmente strategicamente rilevante e destinata al successo che alla gara per la concessione delle stazioni di servizio le principali compagnie petrolifere non si sono neppure presentate per il timore di non riuscire a rientrare dell’investimento e gli automobilisti che decideranno di percorrere questa nuovissima colata di asfalto non potranno fare rifornimento.

A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, si potrebbe dire che la BreBeMi se anche non rappresenta un’opera utile, ha per lo meno creato occupazione. Ma siamo veramente sicuri che non esistano alternative migliori per unire trasporto e occupazione?

La risposta la fornisce uno studio pubblicato ieri dall’Organizzazione Mondiale della Sanità secondo il quale, per creare occupazione invece che su strade e autostrade occorre investire su trasporto pubblico, infrastrutture per la ciclabilità e per gli spostamenti a piedi. Un milione di dollari investiti nella costruzione di strade genera infatti 7,8 posti di lavoro. La stessa cifra genera 9,9 posti di lavoro se investita in progetti di pedonalità, 11,4 posti di lavoro in progetti di ciclabilità e ben 36 posti di lavoro se investita nel trasporto pubblico.

In particolare investire in ciclabilità nel nostro paese porterebbe a numerosi vantaggi, basti anche solo pensare al cicloturismo. Il caso della Francia è emblematico: oltralpe la bicicletta (solo in quanto mezzo di trasporto e senza considerare l’attività sportiva correlata – Tour de France e simili) offre lavoro al momento a circa 33 mila persone.

Sono tanti o sono pochi? Se pensiamo che un milione di euro di fatturato dell’industria della bici dà lavoro a 10 persone, mentre un milione di euro di fatturato dell’industria dell’auto dà lavoro a 2,5 persone. Il rapporto è 1:4.

Eppure no, in Italia si continua a puntare tutto su grandi infrastrutture inutili e che distruggono il paesaggio, ma tanto la colpa poi è (solo) dell’Europa che ci tarpa le ali o del nostro sistema di relazioni industriali.

Forse varrebbe la pena dare una ripassata ai libri di storia: per uscire dalla Grande Crisi del ’29, Roosvelt si inventò il New Deal: un nuovo corso in cui, tra l’altro, lo stato finanziava opere pubbliche per creare occupazione (dal 1933 al 1942 furono assoldati oltre tre milioni di disoccupati che furono destinati a curare la manutenzione e la conservazione delle risorse naturali). Perché non ripetere la stessa strada attraverso un Green New Deal?

Certo, bisognerebbe rinunciare a concedere appalti agli amici degli amici, ma forse il gioco può valere la candela.

Insomma, chiediamo pure di allentare i parametri del patto di stabilità, riformiamo pure il mercato del lavoro, ma prima di tutto, riorientiamo le nostre scelte strategiche.

Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare – Lucio Anneo Seneca

P.S. Sono pronto a scommettere che tra i commenti non mancherà chi, guardando il dito e ignorando la luna, farà notare come non sia possibile andare in bicicletta da Brescia a Milano

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti

MANI PULITE 25 ANNI DOPO

di Gianni Barbacetto ,Marco Travaglio ,Peter Gomez 12€ Acquista
Articolo Precedente

Lavorare nel non profit, se non ora quando?

next
Articolo Successivo

Jobs Act, la semplificazione che complica il lavoro

next