Oltre 1.660 giornalisti rimasti senza lavoro negli ultimi cinque anni. Vendite dei quotidiani giù del 10% nel solo 2013, mentre i ricavi pubblicitari crollavano addirittura del 19,4%. Ancora peggio i periodici, trascurati dai lettori (-9,8% il ricavato in edicola) e abbandonati dagli inserzionisti (-24,5%). Mentre nei consigli di amministrazione delle aziende editoriali volano gli stracci (vedi il caso Rcs) e gli editori stessi sono ai ferri corti con i dipendenti, che non ci stanno a vedere i manager mettersi in tasca premi e bonus mentre loro mandano giù cassa integrazione e contratti di solidarietà (è successo al Sole 24 Ore e, di nuovo, in Rcs), il settore è ben lontano dal vedere la famosa luce in fondo al tunnel. A fotografare la situazione è la Fieg (Federazione italiana editori di giornali), guidata da Giulio Anselmi, in uno studio presentato il 16 aprile con l’evidente obiettivo di convincere il nuovo governo che il fondo straordinario per gli interventi di sostegno all’editoria (120 milioni spalmati su tre anni, con cui finanziare tra l’altro ammortizzatori sociali e ristrutturazioni aziendali) va sottratto alle grinfie della spending review.
Il rapporto, basato sui dati di bilancio di 51 gruppi editoriali, contiene dati sul triennio horribilis 2011-2013, il più pesante per il comparto. Che ha visto il fatturato editoriale degli editori di quotidiani restringersi di mese in mese: -2,1% nel 2011, -9,9% nel 2012, -11,1% nel 2013. Colpa in gran parte del calo della pubblicità, compensato solo in parte dagli aumenti di prezzo varati da tutte le maggiori testate. Per arginare il crollo le aziende hanno tagliato i costi (-1,4% nel 2011, -4% nel 2012), ma non è bastato per salvare i margini. Nel 2012 solo 16 imprese risultavano in utile, contro 35 che hanno invece chiuso i bilanci in rosso subendo perdite complessive di 149,4 milioni (l’anno prima il buco si fermava a 66,6 milioni). Sui risultati dei periodici sarebbe opportuno stendere un velo pietoso, considerato che l’ultimo anno in cui hanno visto aumentare le pagine pubblicitarie è stato il 2007. Dopo l’inizio della crisi è stato un crescendo (in negativo) fino al -23,9% del 2012 e al -24,5% del 2013. Male anche i ricavi in edicola (-9,9% e -9,8% i dati dell’ultimo biennio, ma se si guarda agli ultimi sette anni si arriva a un calo aggregato del 36%), con ovvie ripercussioni sul fatturato complessivo.
Tirando le somme, l’anno scorso quotidiani e periodici hanno perso il 21,2% degli introiti da pubblicità e una bella fetta di lettori: quelli dei quotidiani sono ormai solo 20,6 milioni contro i quasi 25 del 2011, mentre a sfogliare settimanali e mensili sono rimasti 28,4 milioni di italiani, 4,4 milioni in meno risalendo solo alla metà del 2012. Tiene, invece, l’online: si può parlare quasi di boom, considerato che i lettori dei siti web delle testate quotidiane sono passati da 2,7 a 3,7 milioni in due anni. Su anche i ricavi: oggi sono il 6,4% del fatturato complessivo, contro il 3,9% del 2011. Peccato che sia decisamente troppo poco per arginare il crollo su tutti gli altri fronti. Così gli editori hanno affilato le forbici e le hanno utilizzate per decimare gli organici: tra 2009 e 2013 sono rimasti a spasso 887 giornalisti dei quotidiani e 638 dei periodici. E si è più che dimezzato (da 173 a 75) il numero dei praticanti, cioè i giovani che dovrebbero garantire il ricambio generazionale nelle redazioni. Solo l’anno scorso l’occupazione è diminuita del 7,7% nei periodici, del 5,6% nei quotidiani e del 3,9% nelle agenzie di stampa. Nel complesso, significa 600 posti di lavoro in meno rispetto al 2012. Ma evidentemente non basta ancora, viste le dichiarazioni della vicepresidente Fieg, Azzurra Caltagirone, durante la presentazione dello studio: “Nonostante la popolazione lavorativa sia diminuita”, ha detto, “il costo del lavoro nell’ultimo anno è aumentato. Questo significa che le nostre dinamiche contrattuali non sono più sostenibili e che il numero degli addetti non è più sostenibile“. Non solo: secondo la Caltagirone, che siede nel cda del gruppo di famiglia, editore de Il Messaggero, “ci sono 4.500 poligrafici nei giornali e nelle agenzie a fronte di 6.500 giornalisti. Anche questo rapporto è diventato insostenibile”. Sottolineando poi il livello di anzianità dei giornalisti, la vicepresidente Fieg ha aggiunto che “non è possibile proseguire nella trasformazione dell’offerta senza includere la popolazione tra i venti e i trent’anni che rappresenta il futuro”.