“Mi resta ancora poco da vivere e lo accetto. Ciò che non accetto, invece, è la sofferenza dei miei familiari che sono stati brutalmente abbandonati. La loro serenità è la mia forza per combattere con dignità e coraggio contro la malattia che mi sta consumando”. Giovanni ha 45 anni, è affetto da astrocitoma anaplastico, un tumore cerebrale molto raro ma altrettanto aggressivo, che dà un’aspettativa di vita tra i 24 e i 36 mesi. È un malato terminale. Nel 2012 viene inserito nel programma di cure domiciliari dell’istituto Regina Elena di Roma. Un progetto sperimentale, finanziato dalla Regione Lazio e attivo dal 2000, considerato esempio in Italia di continuità assistenziale tra ospedale e casa del malato. Il progetto fornisce le cure appropriate per migliorare la qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie nella fase terminale della malattia. In questi anni è stata formata un’equipe multi-specialistica di medici, infermieri, fisioterapisti e psicologi per far fronte a questa patologia complessa che colpisce il cervello.
Il 31 ottobre 2013 per Giovanni – che nel frattempo è diventato invalido ed è su una serie a rotelle – e per altri 200 malati arriva l’inaspettata notizia: il servizio non sarà più finanziato. La Regione ha chiuso i progetti pilota. Mai interrotto prima, rifinanziato da tutte le maggioranze politiche succedutesi in 13 anni, il servizio ha dato assistenza specialistica a molte centinaia di pazienti – più di 800 – provenienti non soltanto dall’Istituto Regina Elena, ma da tutti i reparti di Neurochirurgia del Lazio. “Questo servizio è fondamentale – dicono alcuni malati – perché allevia molte delle nostre sofferenze, non solo fisiche ma anche psicologiche, poiché l’equipe che li assiste assiste è disponibile a qualsiasi ora”. Infatti il contatto tra paziente e personale sanitario dell’ospedale è diretto e spesso le emergenze possono essere risolte con una semplice telefonata. Intanto il governatore Nicola Zingaretti e la cabina di regia, guidata da Alessio D’Amato, stanno pensando a una ristrutturazione del servizio. Di oggi la conferma in una nota: “La Regione Lazio in accordo con il nuovo Commissario Straordinario degli IFO Dott. Fulvio Moirano riattiverà il progetto di cura e assistenza domiciliare ai pazienti operati di tumore cerebrale portato avanti dall’equipe multidisciplinare del Polo oncologico Regina Elena. Obiettivo della Regione è infatti quello di assicurare la continuità assistenziale tra ospedale e territorio, per ricevere le cure necessarie all’interno della struttura ospedaliera e a domicilio, a seconda dello specifico quadro clinico. In rapporto e relazione con le ASL di riferimento dei pazienti. In questi giorni i medici dell’IRE e i dirigenti della Regione si stanno adoperando per riattivare al più presto l’assistenza e nei prossimi giorni saranno incontrati anche i referenti dell’Associazione Irene Onlus che da anni sostiene il Progetto degli IFO”.
Nel frattempo però, i pazienti sono rimasti senza cure domiciliari, e gli operatori sanitari senza lavoro. E dopo mesi di silenzio è iniziata la protesta dei malati e familiari. “Con un tumore così complesso, che talvolta rende invalidi i malati – afferma Mirella Di Marcantonio, presidente di Irene, associazione che raccoglie e supporta pazienti e familiari di persone affette da tumori cerebrali – anche una settimana senza cure è devastante. I malati sentono di essere stati abbandonati dalle istituzioni nel momento di massima fragilità. E quando insorgono complicazioni ed emergenze ricorrono a ricoveri ospedalieri spesso inappropriati”.
Il 16 marzo l’Associazione invia una lettera a Nicola Zingaretti, spiegando l’importanza del servizio e del risparmio operato in questi 13 anni. “I nostri cari – dice il presidente della Onlus – erano supportati dallo stesso gruppo dell’ospedale fino a casa e fino al decesso tra le mura domestiche, fatto che per le nostre famiglie ha un valore inestimabile”. Il servizio del Regina Elena è finanziato con 500mila euro l’anno: un sistema efficace e che garantisce un risparmio in termini di ricoveri e spese non necessari. Che il modello sia efficace è dimostrato da molteplici apprezzamenti internazionali, tanto che nel 2009 riceve l’Award for Excellence in Quality of Life Research, riconoscimento per i modelli all’avanguardia nel mondo. Che il modello di cure domiciliari rappresenti un risparmio, invece, è dimostrato dallo studio scientifico del 2012 condotto dal “Journal of Palliative Medicine”, con la collaborazione dell’Agenzia di Sanità Pubblica della Regione Lazio. La ricerca mostra che, oltre a garantire una migliore qualità della vita dei pazienti, il servizio del Regina Elena garantisce alla regione Lazio un risparmio in termini di minori costi di ospedalizzazione. Per quanto riguarda l’ultimo mese di vita del paziente, ci sono delle differenze tra il costo sostenuto da questa equipe specializzata e quello sostenuto invece da chi è seguito dall’assistenza domiciliare classica. Nel primo caso, la spesa è di 517 euro al mese, nel secondo ammonta a 24mila euro. La ricerca attesta quindi che il costo medio per giornata di un paziente affetto da tumore cerebrale è inferiore a 20 euro al giorno. La stima di risparmio generale – secondo l’associazione Irene – ammonterebbe a 3 milioni di euro l’anno.
In assenza di una risposta “Irene” invia al Presidente Zingaretti un’altra lettera. È un appello per non chiudere il progetto: “Piuttosto che ammazzare questa esperienza, dovreste imparare da questa e replicarla”. Di oggi, poi la nota della Regione. In attesa di una risposta dalle istituzioni, Irene onlus si era mobilitata anche in rete, lanciando una petizione online sul sito Change.org che ha raccolto finora circa 2mila firme. Chiede di riattivare il servizio di cure domiciliari per i malati di tumore celebrale. Anche il consigliere regionale Massimiliano Valeriani, del Pd, presenta un’interrogazione a risposta scritta in cui chiede a Zingaretti l’immediata riattivazione del servizio. Il 7 aprile, l’associazione riceve una comunicazione dalla Regione Lazio, che assicura il proseguimento dell’assistenza domiciliare, ma solo “per i pazienti che hanno effettuato un intervento chirurgico di neoplasia cerebrale presso l’istituto Ifo –Regina Elena”. Per l’associazione che supporta i malati si tratta comunque di una grave discriminazione: “Il 95 per cento dei nostri assistiti non avrà accesso al servizio di cure domiciliari e dovrà rivolgersi al medico di famiglia o alla Asl che non sono in grado di gestire un paziente con una patologia così difficile e imprevedibile”.