La Rai ha chiuso l’ultimo esercizio con un utile di circa cinque milioni di euro. Ma la vera buona notizia è che il Dg Luigi Gubitosi ha deciso – volente o nolente – di rimanere in azienda fino a fine mandato. La Rai ed i suoi vertici non sono entrati nel consueto walzer delle poltrone – immancabile ad ogni cambio di potere. Il premier Renzi, forse perché impegnato su altri fronti, non ha pensato di modificare gli assetti della Rai in questo momento.

E la decisione è quanto mai saggia, non solo perché Gubitosi ha indubbiamente fatto bene ma soprattutto perché la Rai è prossima ad una scadenza fondamentale che in un verso o in un altro determinerà il suo futuro per i prossimi decenni e con buona probabilità anche un riassetto dell’intero sistema italiano.

Nel 2016 infatti scade la concessione per il servizio pubblico radiotelevisivo. È giunto quindi il tempo di iniziare un serio ed approfondito dibattito sull’opportunità del rinnovo di questa concessione e quindi sulle sue modalità di attuazione. Gubitosi su questo versante ci ha regalato un’altra buona notizia facendosi promotore della costituzione di un progetto in concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico e della società civile per la redazione di un Libro Bianco sul Servizio Pubblico Radiotelevisivo. Un progetto nelle intenzioni apprezzabile che dovrebbe portare all’individuazione di una serie di scenari operativi che possano fornire concrete indicazioni alle istituzioni per affrontare questo delicato passaggio che andrà a vincolare la concessione per il prossimi 15/20 anni.

Dalle intenzioni però bisogna passare immediatamente ai fatti. Il tempo a disposizione è piuttosto scarso soprattutto se si vorrà affrontare radicalmente la questione. Lo sviluppo tecnologico di questi ultimi anni ma, soprattutto, le evoluzioni del sistema delle comunicazioni nei prossimi decenni impongono infatti un ragionamento che analizzi dal profondo il significato di servizio pubblico in Italia e quindi le sue possibili attuazioni.

Data l’abbondanza di sorgenti di comunicazione la centralità di tematiche come l’informazione regionale, la preservazione delle differenze culturali, etc. è decisamente diminuita. Cosi come la possibilità di rappresentanza per partiti politici e minoranze. Internet ha aperto infinite possibilità di comunicazione ed informazioni per chiunque voglia manifestarsi in rete, ormai anche con prodotti televisivi e radiofonici.

Centrale rimane ancora invece il tema dell’incentivo alla produzioni nazionali, cosi come il ruolo di sperimentazione e sviluppo che il servizio pubblico deve avere sia in riferimento al prodotto editoriale che a tematiche di piattaforma.

In Europa esistono varie interpretazioni molto interessanti di servizio pubblico radiotelevisivo. La più interessante a mio modo di vedere è quella applicata in Uk dove da tempo si è deciso di separare una offerta sorretta solo dal canone (BBC) con un’offerta commerciale (Channel 4). Questo ha permesso agli operatori inglesi di spaziare su tutto il campo mantenendo – ognuno nel sul specifico – il focus sulla propria missione. Pensare anche in Italia ad un modello similare è sicuramente una delle ipotesi da prendere in esame con un ampio e condiviso studio in merito.

Ripeto, per fare tutto ciò, e per farlo bene, serve il giusto tempo. Siamo probabilmente già in ritardo. L’invito quindi a Gubitosi ma anche a Matteo Renzi è di dare immediatamente avvio ai lavori di studio e consultazione a riguardo cosi che si possa arrivare per tempo ad avere un quadro completo e fattivo sulla materia.

Se ci pensiamo bene potremmo essere difronte ad una vera e propria rivoluzione per l’assetto del sistema radiotelevisivo nazionale, per cambiare sostanzialmente il mercato e renderlo più dinamico e competitivo. Sempre che questo sia l’obiettivo che si vuole raggiungere e che non si preferisca far finire tutto come al solito “all’italiana”.

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