"Non si può dire solo che funziona perché costa poco", afferma Massimiliano Ricciarini, presidente del sito streetfood.it, a commento dei risultati della consultazione online lanciata da Gambero Rosso. "La qualità del cibo di strada che proponiamo è testimoniata dagli ingredienti usati e dalla professionalità degli allestitori"
Lo street food è diventato così popolare in Italia da meritare trasmissioni televisive e sondaggi d’opinione. Non sorprende quindi che anche il celebre Gambero Rosso abbia proposto una consultazione online per offrire “una panoramica che aiuta a capire quali sono le motivazioni principali che spingono a rivolgersi al cibo da strada”. Il risultato? Quasi il 40% degli utenti lo preferisce perché spende poco; il 16,5% perché può mangiare velocemente; il 14% per “divertimento”; l’11% per la “crescita della qualità” e l’8% per la “varietà dell’offerta”; infine solo il 3,2% per la vicinanza a casa o lavoro dei punti di ristoro di street food.
Puntarella Rossa ha approfondito queste motivazioni e in generale la crescita della popolarità del cibo di strada intervistando direttamente chi nel 2004, per primo in Italia, decise di credere nello street food tanto da registrare un marchio e un sito che oggi sono il punto di riferimento nazionale sul tema: Massimiliano Ricciarini. «Sono un giornalista, oggi presidente di streetfood.it – spiega Ricciarini – Il nostro progetto nasce nel 2004 attraverso una tesi di un master sulle “Rotte del gusto”: la ricerca verteva sulla catalogazione di cibi poveri o di strada delle quattro regioni centrali italiane, Toscana, Umbria, Romagna e Marche. Da qui ho proseguito la ricerca in tutto lo stivale dando vita a una prima versione del sito web».
Ricciarini, cosa pensa della classifica del Gambero Rosso sulle motivazioni per apprezzare lo street food?
Minimizza un po’ la cultura dello street food: la riporta in modo troppo schematico. Posso dire certamente che la qualità del cibo che proponiamo è testimoniata dagli ingredienti usati e dalla professionalità degli allestitori. L’obiettivo è trovare pietanze di qualità ad un costo accessibile. Non si può dire solo che funziona perché costa poco.
D’altra parte è sicuramente uno dei motivi perché oggi il cibo di strada è così diffuso. Quali sono secondo lei i motivi del suo successo?
Il cibo di strada oggi è molto “smart”. Viene realizzato magari con ricette di lunga preparazione, ma è servito all’avventore in modo semplice: è un modo per cibarsi con facilità, ma anche per mangiare prodotti genuini. Con il nuovo stile di vita a cui siamo abituati, si tratta di una soluzione funzionale ai nostri pasti.
La popolarità dello street food è testimoniata anche dai programmi televisivi nati recentemente. Come ad esempio Unti e bisunti di Chef Rubio. Cosa pensa di queste trasmissioni?
Da una parte posso solo ringraziare queste trasmissioni che hanno allargato la nostra cerchia di amici. D’altra parte, individuare ricette tipiche e poi portarle per strada non è lo street food. E bisogna stare attenti ai programmi sulle tv commerciali, infatti è possibile che ci sia intromissione degli sponsor nella genuinità delle ricette tradizionali. Per esempio, la finocchiona non è un cibo di strada: e chi ha visto queste trasmissioni sa a cosa mi riferisco…
C’è chi critica il lato “igienico” dello street food, così come la mancanza di garanzie sugli ingredienti utilizzati.
Stiamo convertendo questa immagine, adesso dove andiamo ci riconoscono per la professionalità. Io apprezzo le nuove tendenze che mirano a coinvolgere chef stellati, ma spesso l’adattamento dei piatti fatto da loro non corrisponde alla vera cultura del cibo di strada. Le normative nazionali, molto stringenti, hanno di fatto “cassato” alcune tradizioni gastronomiche. Noi stiamo cercando di adattare alle normative alcuni cibi della tradizione: ma non stravolgiamo il senso del piatto, cioè servire un cibo “povero”, il vero street food.
Quali sono i cibi di strada più diffusi in Italia?
Partiamo da Firenze: panino con trippa e lampredotto. Sono le frattaglie bollite con odori, tagliate e sminuzzate e servite in un panino: prima si faceva con pepe nero, adesso con salsa verde e salsa peperoncino. Poi c’è tutto il panorama del cibo siciliano, ricco delle influenze delle culture del Mediterraneo: ad esempio, pane e panelle, sfoglie di pasta di ceci fritte, e il pane ca’ meusa (panino con la milza lessata e poi fritta con lo strutto e servita nel panino con sale e limone). E quindi le arancine (a Palermo), gli arancini a Catania: sfere di riso bollito con vari condimenti, il più tradizionale è con piselli e ragù di carne. Sicuramente, street food italiani molto noti sono gli arrosticini abruzzesi (carne di agnello tagliata a dadini, infilzata su un bastoncino di legno): per il modo di preparazione, cottura e servizio sono quelli forse più rappresentativi. Come dimenticare poi la piada romagnola. O ancora il pastin di Belluno, un panino con dentro una sorta di impasto di vitello e maiale con aggiunta di una fetta di formaggio Dobbiaco cotto alla piastra.
Cosa si augura per il futuro dello street food italiano?
Spero che il cibo di strada non rimanga una moda passeggera, ma che la collettività possa riappropriarsi di culture tipiche della nostra alimentazione.
(Foto dalla pagina Facebook)