Negli ultimi vent’anni, in Italia, si sono costruiti infiniti centri commerciali. Il grande antropologo e sociologo della contemporaneità Marc Augè ha coniato, per definirli, l’espressione “non luoghi”. Ma ci si è mai chiesti dove sorgano questi “non luoghi” dello shopping di massa, spesso vasti e frequentati come fossero delle metropoli? E sono sempre sicure le aree su cui sono stati edificati? L’uomo può fare finta di niente: “intanto costruiamo”, poi si vedrà. Ma la natura circostante, anzi, ospitante, se ne starà sempre placidamente al “gioco”? E cosa fare, a cose fatte, a centri commerciali già funzionanti da un bel pezzo, se ci si accorge, più o meno all’improvviso, di peccati o “distrazioni” originali?
Prendiamo uno dei più grandi centri commerciali d’Italia, visibile anche a chilometri di distanza: il Megalò. Dal 2005, domina incontrastato l’area metropolitana “di fatto” Chieti-Pescara, che gode di un controverso primato: la più cospicua concentrazione di centri commerciali in Europa. L’Abruzzo, insieme alla Liguria e al Piemonte, possiede poi un altro fulgido record: è la prima regione italiana quanto al rischio di dissesti idrogeologici.
E qui sta il busillis. Il Megalò si staglia infatti a soli 150 metri dal fiume Pescara, su una superficie di 40 ettari, che venne classificata dalla Regione stessa come ad alto rischio idraulico e idrogeologico e che avrebbe dovuto continuare a fungere da importante cassa di espansione naturale del fiume. Lo sostengono gli ambientalisti, lo asserisce a viva forza anche l’ingegner Michele Colistro, segretario generale dell’Autorità dei Bacini. “In quell’area non si poteva, non si doveva costruire, lo impediva lo stesso Piano Alluvione della Regione Abruzzo”. Ma che conseguenze possono esserci per l’incolumità non solo dei clienti del Megalò, ma anche dei vicini centri urbanizzati? Sta di fatto che per proteggere il centro commerciale da eventuali esondazioni del fiume, venne eretto un argine di circa dieci metri di altezza.
Ma “dopo accurati studi finalizzati alla verifica idraulica e di stabilità dell’argine posto a protezione del Megalò, è stato certificato che quell’argine è insufficiente: mancano, all’appello, oltre quattrocentri metri”: parola sempre dell’ingegner Colistro. In caso di piena eccezionale del fiume Pescara, evento purtroppo ragionevole, si rivelerebbe inadeguato, insomma, persino l’argine già completato. E il Megalò verrebbe allagato e sommerso, con tutto quello e tutti quelli che ci sono dentro. Qualche mese fa, negli occhi in fermo-immagine quanto accaduto poco prima in Sardegna, un pesante nubifragio si è abbattuto sull’Abruzzo. Il fiume Pescara è esondato, anche alla foce di Pescara-città, e il sindaco di Chieti Umberto Di Primio ha firmato un’ordinanza di sgombero immediato del Megalò. Lo ha fatto per “precauzione”, dopo aver verificato personalmente che tutta quella pioggia stava provocando un “innalzamento del livello del fiume tale dall’aver raggiunto quasi il colmo dell’argine”. Il centro commerciale è rimasto così chiuso per due giorni. Non di più perché alla fine, grazie a Zeus, ha smesso di piovere.
Risalendo un po’ la corrente del tempo: nel 1998, dopo l’alluvione di Sarno, il governo emanò un decreto legge che prescriveva di non dislocare più attività produttive e commerciali troppo a ridosso dei fiumi, in un’ottica finalmente di prevenzione, di difesa del suolo, di tutela da quegli enormi rischi idrogeologici che mordono l’Italia. Che fine ha fatto quel decreto, che fine ha fatto la prevenzione? Questo concetto inguaribilmente abnorme e alieno, nel recidivo Belpaese.
Ecco cosa ci ha spiegato Ileana Schipani, presidente del Cirf, Centro italiano di riqualificazione fluviale: “L’area del Megalò è diventata a rischio idraulico molto elevato nel momento in cui vi sono stati allocati dei beni. Per quanto riguarda gli effetti degli argini, che possono spostare le conseguenze a valle: se la portata del picco di piena si propaga invariata da monte a valle, il risultato è che a valle ha un tiraggio molto elevato. La funzione delle aree di espansione lungo un fiume è proprio quella di diminuire progressivamente la portata di picco dell’onda di piena. Tutto questo si chiama laminazione”. Della serie: se nelle aree di espansione lungo i fiumi hanno costruito strutture colossali, non lamentatevi, poi, se un bel giorno, specie a valle, quegli stessi fiumi esonderanno alla velocità della luce. Facendo potenzialmente disastri. “Questa è la storia di come i poteri pubblici insieme ai proponenti privati hanno confezionato delle regole ad hoc per consentire un’apparente legittimità a un intervento che altrimenti era davvero illegittimo se non illegale”, questo il pensiero del consigliere regionale abruzzese Maurizio Acerbo, tra i primi a sollevare il problema.
Sta arrivando l’estate, e con essa il bel tempo, e con questo torna la normalità, nell’Italia dissestata. Ma verrà l’autunno, incubando piogge torrenziali, e allora tutto potrà ri-succedere. Dalle nuvole è più facile e più legittimo che cadano cieli d’acqua senza requie, che tutti voi, imprenditori e soprattutto politici dalla vista corta. Le elezioni si svolgono sempre in primavera. Chi se ne frega dell’inverno.
Le alluvioni sono sempre esistite: quello che è andato accentuandosi, dalle nostre parti, è un certo approccio edificatorio indiscriminato, che prospera in assenza di vera politica. Eppure basterebbe tenere a mente certe regole elementari: ad esempio, non utilizzare mai le pianure alluvionali a fini urbanistici. I fiumi non votano, ma sono organismi viventi. Rispettiamoli, affinché anche loro rispettino noi.