E' la cifra, in titoli e contanti, proveniente dal Fondo unico Giustizia. A stimarla è stato il neo sindacato di polizia Sicurezza e diritti. Basterebbe che il ministero del Tesoro li esigesse, e quei soldi sarebbero a sua disposizione pronti a essere reinvestiti
Quanta benzina si potrebbe acquistare con 2 miliardi di euro? O quante ‘volanti’ della polizia si potrebbero riparare? O, ancora meglio, quanti immobili si potrebbero ristrutturare e, magari, smettere di pagare esorbitanti affitti ai privati? Due miliardi di euro è la cifra, stimata dal neo sindacato di polizia Sed (Sicurezza e diritti), che giace immobile nelle casse di Equitalia, provento di confische alle organizzazioni criminali.
Confische, non sequestri: quindi beni che non potranno tornare nelle mani di mafiosi, camorristi o ‘ndranghetisti. Si tratta di un miliardo di euro in contanti e di un altro miliardo in titoli. Equitalia amministra per conto dello Stato il Fug, Fondo unico Giustizia, in cui confluiscono appunto denaro o proventi di sequestri e confische, e ha l’obbligo di versare le risorse nelle casse dello Stato. Basterebbe, dunque, che il ministero del Tesoro li esigesse, e quei 2 miliardi sarebbero a sua disposizione.
Non è dunque, a differenza di quanto detto ieri dalla presidente della commissione nazionale Antimafia, Rosy Bindi, solo una questione di tempi: “Noi ci siamo resi conto che se i mafiosi riescono a tenere per molto tempo alcuni beni è perché qualcuno si è girato dall’altra parte, è perché qualcuno gli ha dato una mano. Adesso noi – ha sostenuto la Bindi – chiediamo a tutti, dopo aver tolto i beni ai mafiosi, di dare una mano alle istituzioni per restituire questi beni alla comunità. Il procedimento di questi anni tra sequestro, confisca e assegnazione dura anche dieci anni, ma ci sono state buone pratiche che ci sono riuscite in cinque. Noi ci auguriamo di dimezzare questi tempi”. Sì, ma poi? – si chiedono i poliziotti del Sed – Perché tutto rimane fermo?”.
Al di là del denaro, infatti, c’è un elenco lunghissimo di immobili confiscati, parliamo di undicimila strutture. La legge imporrebbe al Tesoro di venderli dopo 180 giorni dal provvedimento giudiziario e dopo aver verificato la possibilità che vengano utilizzati dalle Regioni e dallo Stato. “Il problema è che si tratta di edifici non destinati all’uso pubblico. Ci dicono dunque che non possono essere destinati a ospitare la polizia – commenta il Sed –. Come la mettiamo con il 70 per cento dei commissariati d’Italia, che si trova in immobili privati? Il ministero dell’Interno – cioè lo Stato, cioè noi – paga milioni di euro di affitto ai proprietari degli stabili, quando potrebbe decidere di destinare un bene confiscato a questo utilizzo”. Qualcheesempio? Il commissariato “Libertà” di Palermo costa ai cittadini 300 mila euro l’anno. Frascati e Marino, due dei Comuni dei Castelli Romani, hanno un commissariato ciascuno per cui il Viminale paga oltre 450 mila euro ai privati. A metà strada tra l’uno e l’altro, a Grottaferrata, esiste un ristorante, “La Bazzica”, sottratto all’usura una decina di anni fa e affidato poi al ministero per “finalità sociali”. In tutti questi anni nessuno ci ha più fatto nulla e la struttura, che è grande circa mille metri quadri, oggi cade a pezzi. Si continua a parlare di tavoli di confronto e non si è riuscito neanche a sfruttare un finanziamento di 150 mila euro da parte della Regione Lazio.
“Ristrutturarlo costerebbe un milione di euro – sostiene ancora il Sed – ma se poi accorpassero i due commissariati in due anni la cifra sarebbe ripagata”. Un caso ancora più paradossale è quello del commissariato Mondello, la località balneare vicina a Palermo. I poliziotti sono ospitati all’interno di Villa Elena, una struttura di pregio di proprietà del Fondo edifici di culto.
Chi gestisce il Fondo, circa 700 chiese di grande interesse storico-artistico e tutto le opere in esse conservate? Il ministero dell’Interno. “Il Dipartimento della pubblica sicurezza paga l’affitto al Fondo edifici di culto. Quindi il Viminale paga l’affitto a se stesso – conclude il sindacato di polizia –. Il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie indebolisce il consenso nei confronti delle grandi organizzazioni criminali, rafforzando la fiducia nelle istituzioni e instillando nella società civile l’idea che vivere nell’illegalità è una scelta che non paga. Oltre tutto siamo in un periodo in cui la coperta è troppo corta e si chiede al comparto sicurezza di stringere ulteriormente la cinghia, arrivando a ipotizzare tagli lineari alla Polstrada o alla polizia postale. Quei 2 miliardi reinvestiti sarebbero un ottimo segnale da parte del governo Renzi”.
Da Il Fatto Quotidiano di mercoledì 16 aprile 2014
DIRITTO DI REPLICA
Con riferimento all’articolo “Giustizia, quei 2 miliardi di euro fermi nelle casse di Equitalia”, pubblicato da Il Fatto Quotidiano del 16 aprile, si precisa che non vi sono somme confiscate che “giacciono immobili nelle casse di Equitalia”. Infatti, Equitalia Giustizia non ha alcuna autonomia decisionale circa il momento e l’ammontare dei versamenti da effettuare dal Fondo Unico Giustizia allo Stato e agisce in puntuale esecuzione della legge e dei provvedimenti emanati dall’Autorità Giudiziaria. In particolare, Equitalia Giustizia versa al bilancio dello Stato le somme confiscate, su disposizione dei competenti uffici giudiziari, e una quota delle risorse sequestrate, stabilita ogni anno con decreto ministeriale, in base a criteri statistici che tengono conto delle probabilità di restituzione.
Carlo Lassandro
Amministratore delegato