L'evento di Bologna continua a scatenare polemiche in città. Il neopresidente della fondazione Carisbo Leone Sibani ha dichiarato che "non si potrà chiudere con un pareggio". Critico l'assessore alla cultura Ronchi: "E' il progetto di un imprenditore che prende in affitto quadri e li porta in giro. Non sappiamo nemmeno quanto è costata la mostra. Mi chiedo se il valore di un'iniziativa si misura in termini di biglietti venduti"
Nemmeno il tempo di soffiare sulle candeline dei 200mila visitatori che sulla mostra/evento bolognese de “La ragazza con l’orecchino di perla” si apre una nuova polemica tutta interna alla Fondazione Carisbo che ha finanziato, assieme a Linea d’ombra, Intesa Sanpaolo e Segafredo Zanetti, l’esposizione di Palazzo Fava. Le scintille sono comparse quando il neopresidente della fondazione bolognese, Leone Sibani, ha risposto alle domande di un cronista rilevando che nonostante il buon successo della mostra “non possiamo parlare di guadagni e nemmeno di pareggio”. Insomma per la Fondazione Carisbo l’esposizione internazionale “Da Veermer a Rembrandt” che comprende il celebre dipinto del pittore olandese, è una perdita di quattrini: “Se arrivassimo a 500mila visitatori arriveremmo in pareggio, ma i numeri non sono tali per arrivare al guadagno”. A stretto giro di stampa ha risposto Fabio Roversi Monaco, ex presidente Carisbo, ora presidente di Genus Bononiae – Musei della Città, società strumentale della Fondazione stessa: “Chi fa questi ragionamenti non conosce i fatti, non capisce oppure parla per preconcetti”, ha spiegato a la Repubblica, “Abbiamo ricevuto diverse sponsorizzazioni per finanziare l’evento e dare grande evidenza a quello che è stato fatto. Il 70% di visitatori da fuori Bologna e il 7% di stranieri è un risultato eccezionale. E poi l’utilità indiretta per la città è stata enorme”. Poi l’affondo si ferma e rientra nell’alveo del confronto visto che mostre di questa portata “anche avendo fondi si potrebbero programmare solo ogni tre anni”.
Ma è la partita più grossa della funzione ‘finanziaria’ di una fondazione come Carisbo, cruciale per i destini progettuali della città di Bologna, a finire in primo piano. Sibani ha subito specificato che per iniziative culturali di questo genere la Fondazione da lui presieduta metterà a disposizione sempre meno denari: “Le nostre risorse si sono affievolite e nei nostri organi è più sentito il sostegno al welfare. Arte e cultura non possono essere più al primo posto”. I numeri forniti a 40 giorni dalla fine della mostra parlano comunque chiaro, ponendo La Ragazza con l’orecchino di perla insieme agli altri 37 dipinti della mostra a Palazzo Fava in vetta alla classifica italiana delle esposizioni più visitate: 200mila visitatori dall’8 febbraio 2014, con una media di 3077 biglietti strappati al dì, di cui 65% entrati con prenotazione e il restante 35% facendo una pur breve fila.
“I risultati ottenuti hanno superato le diffidenze e critiche iniziali”, ha proseguito Sibani, “che per certi versi potevano avere un fondamento”. Il riferimento alle parole pronunciate lo scorso febbraio dall’assessore alla cultura di Bologna, Alberto Ronchi, riecheggiano nell’ora della polemica: “Il Comune cercherà di fare le cose al meglio ma è una politica culturale finita negli anni 90. Dietro non c’è un progetto culturale, ma di un imprenditore che prende in affitto quadri e li porta in giro: quando finiscono le lunghe code davanti a Palazzo Fava, cosa resta in città? Nulla. E’ un pubblico mordi e fuggi”.
“Il punto non è se avevo ragione o torto”, spiega Ronchi, sempre assente alle conferenze stampa di presentazione e promozione dell’evento, al fattoquotidiano.it, “ma avendo una certa esperienza del settore so che dopo la sbornia dei numeri si ragiona su quello che è successo. Intanto nessuno sa quanto questa mostra è costata e manca un’analisi dettagliata sulla ricaduta concreta dei fruitori della mostra su alberghi, ristoranti e bar. Mi chiedo se il valore culturale si misura dai biglietti venduti e se questo fosse il modo migliore per spendere risorse che per il settore almeno a livello pubblico sono esigue. Per quel che riguarda i musei ‘pubblici’ di Bologna la soluzione, a mio avviso, sta nella differenziazione dell’offerta. E poi siamo capaci tutti di far affluire migliaia di persone se si comprano intere pagine di pubblicità sui quotidiani nazionali: se per esempio, e cito una delle punte di diamante delle manifestazioni culturali che il Comune sostiene, il Future Film Festival avesse avuto questo volume privato di promozione non dico avrebbe registrato 200mila spettatori, ma fuori dalla sala a ogni proiezione ci sarebbero state file lunghissime”.