Le poltrone: croce e delizia della politica. A Milano è in corso una tornata di nomine. Non è come quella con cui ha avuto a che fare Matteo Renzi nei giorni scorsi, ma per la città è importante decidere chi è ai vertici dell’Atm (l’azienda dei trasporti) o di A2a (quella dell’energia elettrica e del gas). Sono società di grosse dimensioni e cruciali per i servizi che forniscono ai cittadini.
Per l’Atm, il sindaco Giuliano Pisapia ha riconfermato nel consiglio d’amministrazione Bruno Rota e Alessandra Perrazzelli (capo di Barclays Italia). Gli altri tre componenti del cda saranno scelti tra i dipendenti comunali e svolgeranno la loro funzione gratuitamente. È dunque certo che Rota, presidente e direttore generale, resterà il manager di vertice di Atm: sarà certamente riconfermato dalla prossima assemblea dei soci (cioè dal Comune di Milano, socio al 99 per cento). Ma sentite come ha reagito Pietro Bussolati (Pd, ex penatiano), giovane segretario milanese del maggior partito che sostiene la giunta Pisapia: “Accettiamo la scelta del sindaco con rammarico, perché avevamo richiesto un indirizzo politico all’insegna del rinnovamento. E invece passa la conservazione dell’esistente”. Una fucilata sparata non soltanto contro Rota, da sempre inviso al giovane assessore ai Trasporti Pierfrancesco Maran (Pd, ex penatiano), ma anche contro il sindaco.
Pisapia non ha fatto un plissè: “Pensavo che l’epoca dei diktat dei partiti fosse finita. Sono fiero di aver sempre scelto in piena indipendenza e autonomia. Ho deciso nel merito e in base alla professionalità e ai risultati, non alle richieste dei singoli partiti. Mi chiedo come mai il segretario del Pd non si sia “rammaricato” per altre nomine effettuate oggi solo in base al buon lavoro svolto in questi anni”. Traduzione: le decisioni le prendo io, o vi sta bene così oppure cercatevi un altro sindaco; anche perché quando riconfermo un manager che ritengo abbia lavorato bene, mi chiamate “conservatore” e vi rammaricate”, ma è un rammarico ad personam, su misura per il solo Rota. Rota è un manager che ai dirigenti dell’Atm a Natale ha regalato il libro (Un uomo onesto, di Monica Zapelli) che racconta la storia di Ambrogio Mauri, l’imprenditore che nel 1997 si è tolto la vita dopo che per anni era stato tagliato fuori dagli appalti Atm perché si rifiutava di pagare tangenti. Rota è il manager che con Filippo Penati (padre politico dei giovani Maran e Bussolati) ha un conto aperto, visto che Penati, quando era presidente della Provincia di Milano, lo cacciò dal vertice di Serravalle perché si era opposto all’acquisto delle azioni della società dal gruppo Gavio.
Rota è un manager che in questi anni di gestione qualche risultato lo ha ottenuto. Ha supportato il decollo dell’Area C, ossia il blocco del traffico in centro, con conseguente aumento degli utenti dei mezzi pubblici. Ha chiuso i bilanci in utile (+4 milioni lo scorso anno, mentre Roma fa -150 milioni). Ha sempre dato ossigeno al suo azionista di controllo, il Comune di Milano, facendogli quadrare i conti con il dividendo straordinario. Ha un brutto carattere, è vero, e non gli va di costruire relazioni con i leaderini di partito. Ora la guerra del Pd milanese a Rota si sposta sul cosiddetto doppio incarico: i rottamatori di rito ambrosiano chiedono che non cumuli più le cariche di presidente e di direttore generale. È come dire: vattene. Perché solo i due incarichi lo rendono manager operativo dell’azienda e nello stesso tempo gli permettono di avere uno stipendio adeguato al ruolo (258 mila euro lordi senza premi di risultato e senza buonuscita), anche se ben lontano dai livelli dei manager che gestiscono business di dimensioni simili. Chi vincerà la guerra, i rottamatori ad personam o il sindaco?
Il Fatto Quotidiano, 17 aprile 2014