Da Bologna si prende la via Emilia per Borgo Panigale. Provinciale 568 ed è fatta. 21 chilometri separano le macerie di Basket City da San Giovanni Persiceto. Le speranze del basket italiano di contare ancora qualcosa passano da qui. Armani Jeans a parte. Marco Belinelli è nato 28 anni fa a San Zvan. Giunto alla settimana stagione con cinque casacche diverse in Nba ha scoperto di essere un fenomeno. Glielo ha fatto presente Gregg Popovich, allenatore dei suoi San Antonio Spurs primi in classifica dopo le 82 gare di regular season. Belinelli è sempre stato quello scarso dei tre italiani in America. Quest’anno ha viaggiato a 11,4 punti di media con i vicecampioni in carica e ha incantato tutti con la vittoria nella gara da tre all’All Star Game di New Orleans.

Nel frattempo i connazionali oltreoceano sono diventati quattro, ma sono tutti da tempo fuori dai radar. Danilo Gallinari in campo quest’anno non si è visto. Un anno perso per un ginocchio ko. Andrea Bargnani, prima scelta assoluta nel draft 2006, ha confermato una volta di più che non avrà mai il futuro che era stata disegnato per lui. Chiamato alla prova del riscatto a New York ha esibito la solita altalena di prestazioni e poi si è rotto pure lui. Infine il nuovo arrivato, Gigi Datome. I due coach che si sono succeduti sulla panchina di Detroit hanno snobbato l’ex capitano di Roma in modo sistematico. Mobbing o giù di lì, perché sul parquet dei Pro, Jesus –come lo chiamano negli States – ha dimostrato di poterci stare. Alla fine potrebbe essere lui l’unico azzurro a prendere parte alle qualificazioni per gli Europei in agosto. Sfumato il sogno mondiale a settembre, servirà un torneo all’altezza in Ucraina per non perdere anche le Olimpiadi di Rio.

Tornando negli Stati Uniti, la notte ha mandato in archivio la stagione regolare. Dopo 82 partite, l’Nba si consegna ai nastri della consueta sfrenata corsa al titolo con tante conferme e alcune parziali sorprese. Otto squadre su quindici sulla costa Est e altrettante a Ovest rimangono in gara, le altre salutano e ci rivediamo a ottobre. Ancora una volta gli Spurs hanno fatto scuola a tutti. I nero argento sono un caso unico nella storia della lega: una squadra di arzilli quasi pensionati della palla a spicchi che vince e dà spettacolo con il gioco e non con i gesti atletici. Forse alla lunga pagheranno la stanchezza e le ginocchia spesso in ghiaccio dei loro campioni, forse psicologicamente risentiranno del titolo gettato alle ortiche lo scorso anno, ma intanto sono sempre loro i numeri uno. Al primo turno dei playoff se la vedranno con Dallas in un rodeo texano.

Dietro di loro, sulla costa pacifica, Oklahoma. Hanno in squadra il prossimo Mvp, Kevin Durant, che quest’anno ha fatto cose che non si vedevano dai tempi di Michael Jordan. Contro di loro i Memphis Grizzlies, ridimensionati rispetto allo scorso anno. La sfida più bella appare il derby californiano tra Clippers e Warriors. Los Angeles è diventata una squadra vera sotto gli ordini di Doc Rivers, la franchigia della baia di San Francisco ha vissuto di alti e bassi, ma da un punto di vista realizzativo mette paura. Ultimo incrocio tra Houston e Portland. E’ questa la sfida più equilibrata dei quarti, ma in generale a Ovest d’ora in poi è difficile fare pronostici perché, resettate le 82 sfide della prima fase, in campo vanno solo squadre competitive.

Peccato che mancheranno i giovani Suns: hanno brillato per tutto il torneo e non hanno meritato la beffa finale. Giro a vuoto meritatissimo, invece, per i Los Angeles Lakers che, con Kobe Bryant ai box, hanno fatto una stagione imbarazzante. Per loro è l’anno zero. Stesso discorso per i già citati New York Knicks e per i Boston Celtics, che almeno hanno l’attenuante di aver pianificato l’anno di ricostruzione. E’ la prima volta nella storia Nba che i tre team più popolari, tutti assieme, non vanno ai playoff. Sulla costa opposta il livello è decisamente più basso e l’esito di alcune serie sembra già scritto. Il primo posto nella Eastern Conference è andato agli Indiana Pacers, che hanno dominato tre quarti di stagione, ma che si sono sciolti in un finale disgraziato. Se la vedranno con Atlanta, ma se non ritrovano la quadra al più presto non sono destinati a fare molta strada. Sotto di loro i Miami Heat di Lebron James, che sogna di mettersi al dito il terzo anello di campione consecutivo. Non si capisce come sia possibile, ma lui continua a migliorare. I compagni di squadra, però – Dwyane Wade su tutti – sulla lunga distanza faticano. La dose di muscoli e talento, in ogni caso, non è paragonabile a quella di nessun altro e i favoriti rimangono loro. Anche perché la strada a Est è spianata.

Nei quarti troveranno i Bobcats di Charlotte. Sorprendenti e divertenti, ma con dei limiti. Non paiono all’altezza del roster della Florida nemmeno le altre. Toronto Raptors contro Brooklyn Nets è una sfida generazionale. I canadesi hanno fatto il salto di qualità affidandosi ai giovani e rottamando i presunti top player del passato (tra loro Andrea Bargnani). I Nets hanno puntato su Jason Kidd, al primo anno, in panchina e sull’usato sicuro in campo (Garnett, Pierce, Deron Williams e Joe Johnson). Proveranno a fare pesare l’esperienza. Infine Chicago, che con la circolazione di palla e uno strepitoso Joakim Noah, ha sopperito all’ennesimo, depressivo, crack del suo fenomeno (speriamo non ex) Rose. I loro avversari vengono dalla capitale e sono i Washington Wizards, che hanno saputo sfruttare al meglio la moria di talento a Est. I playoff iniziano sabato con quattro partite. L’esordio per gli Spurs di Belinelli è domenica alle 19, orario italiano. Tutte le serie sono al meglio delle sette, chi ne vince quattro accede al turno successivo. L’eventuale bella è in casa della squadra meglio piazzata durante la stagione regolare. Si gioca quasi ogni sera. Le finali saranno a giugno inoltrato. Se notate in giro qualche occhiaia sospetta, la causa potrebbe essere l’infido fuso orario americano.

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