Nella mia breve esplorazione del nuovo mondo ho pensato di buttare un occhio a cosa succede a New York. Quale contributo noi italiani stiamo apportando alla Grande mela? A mio avviso molto. Tre storie di italiani che meritano di esser raccontate.

Il sogno americano esiste.

Incontro Richard sul volo che mi porta in Usa. Simpatico, socievole, sui 45 anni ben portati (per intenderci ci son 30enni che son dei catorci). Con oltre 8 ore di volo è normale che finiamo a fare quattro chiacchiere. Viene fuori che Richard è un immigrato di terza generazione e la sua storia è quello che si potrebbe definire il classico sogno americano. I nonni arrivano dall’Italia e lavorano come operai. I genitori occupano la classe media, Richard prende due lauree, finisce a lavorare per il governo americano. Poi decide di andare nel privato e crea un fondo di investimenti che, per la serie “si chiude un ciclo”, aiuta le aziende italiane a internazionalizzarsi. La sua storia è l’emblema di una nazione che, se hai le competenze, ti premia. Parlando dell’Italia che adora riflettiamo su un tema a me caro. “Voi italiani siete un popolo con delle potenzialità enormi – mi dice – ma siete i nemici di voi stessi: vi criticate sempre”. Questa musica non mi è nuova: purtroppo non è la prima volta che la sento. Andiamo oltre e mi racconta di esser finito al governo perché ha mandato un cv. Quando lo guardo perplesso mi dice: “Si da noi è normale, cercavo uno stage e mi hanno preso per corregger le bozze del libro di un presidente, poi ho fatto carriera per un po’ e ho pensato di lasciare per dedicarmi la settore private”. Richard ha anche fondato un liceo classico che ha tra gli obiettivi, la promozione della lingua e cultura italiana.  Si chiama The Montfort Academy.

Chissà se anche da noi basta mandare un cv per esser preso, non conosco la risposta.

A New York son ospite da un amico, Giuseppe. Film maker emergente con all’attivo 3 docufilm su temi complessi come le famiglie omosessuali. Parlando del perché si è trasferito qui mi spiega molto semplicemente che in Italia non c’era possibilità di carriera. L’industria del film e della pubblicità in Italia è per la maggior parte in crisi e lui si vedeva sottopagato (oppure non pagato). Qui ha due lavori. È creativo per un’importante agenzia di comunicazione, e ha aperto la sua casa di produzione. “In Italia il tuo capo ti licenzierebbe se scoprisse che hai un secondo lavoro, qui invece sono contenti perché io, per esempio, indirettamente gli porto clienti con i miei contatti”. Quando gli chiedo se tornerebbe in Italia mi sorride gentilmente e mi risponde che non ne val la pena. Non mi sento di dargli torto. A 34 anni qui in Usa ha una posizione e una credibilità e il suo lavoro è pagato per quel che vale. In Italia sarebbe ancora uno stagista oppure il “ragazzo” da chiamare per tappare qualche buco temporaneo nell’organico.

A New York  vive anche Laura, amica da oltre 10 anni, che nel 2007 ha deciso di trasferirsi con Luca, suo marito. Entrambi attori, qui hanno dovuto ricominciare da capo. Luca ha lavorato come cameriere e poi come manager di un ristorante prima di licenziarsi per imparare l’arte del fare la pizza (direttamente dal Presidente dell’Associazione Pizzaioli Napoletani degli Usa). Dopo quasi un anno di esperienza come pizzaiolo ha aperto Sottocasa, pizzeria di successo a Brooklyn. Laura continua a fare l’attrice e dal 2009 racconta cosa vuol dire Vivere New York su suo blog che conta più di 43 mila fan, per lei non esiste altra città al mondo in cui potrebbe vivere ormai, mi spiega.

Queste persone fanno grande New York. A rischio di sembrare nazionalista ammetto che mi fa piacere sapere che dentro questa città c’è un pezzo di italianità che la fa crescere. Un poco di tristezza mi viene dal sapere che queste persone, Angelo e Laura miei coetanei, potrebbero far le stesse cose in Italia se ne avessero la possibilità.

Ma dopo aver parlato con Richard che, figlio di immigrati italiani, ha deciso di scommettere sull’Italia aiutando le nostre Pmi a crescere, mi resta la speranza che altri italiani possano decidere di far crescere l’Italia, anche da lontano.

@EnricoVerga

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