Quando lo scorso mese di marzo ho letto su Avvenire l’intervista della Ministra Lorenzin sul piano nazionale per la fertilità sono rimasta sconcertata, e ho avuto la stessa reazione che ho letto in molti post in questo sito.
Il mio primo impulso è stato quello di scrivere, così come hanno fatto altre, dicendo che non si può parlare di “educazione alla maternità”, o affrontare il calo delle nascite solo punto di vista riproduttivo, senza tener conto delle cause economiche e sociali e lavorative che ben conosciamo e che di fatto non permettono a molte donne di avere dei figli.
Poi, dal momento che conosco e stimo la ministra Lorenzin, il suo approccio laico, la sua sensibilità nei confronti delle questioni di genere, ho voluto incontrarla per conoscere il suo pensiero al di là dei filtri mediatici.
Mi pare che ci siamo capite: non si tratta di mettere in discussione l’autodeterminazione delle donne, ma, semplicemente di attuare una campagna di informazione e comunicazione sulle cause che spesso portano all’infertilità, e tra queste cause, anche se non piace, c’è l’età anagrafica. E c’è anche la mancata conoscenza di alcuni fattori che rendono la donna sterile. C’è anche che si tratta di un settore dove non si fa alcuna prevenzione. Quale medico, ad esempio, prima di sottoporre una donna a una cura oncologica le suggerisce di farsi prelevare e congelare gli ovociti per darle la possibilità di una futura gravidanza?
D’altra parte la Ministra della Sanità, che è ben consapevole del fatto che la mancanza di politiche a favore delle donne è tra le cause del crollo delle nascite, non potrebbe, anche volendo, fare un intervento diverso da quello che ha fatto: i provvedimenti in campo economico, lavorativo e sociale non competono il suo dicastero e proporre interventi in quegli ambiti sarebbe un’invasione di campo.
Le sue dichiarazioni, quindi, riguardano “necessariamente” le questioni sanitarie. Non si tratta di spingere le donne a fare figli come ai tempi del fascismo, ma di far sì che una donna che ha in progetto di avere un figlio possa poterlo avere.
Stavo ancora riflettendo nostra conversazione, quando ho incontrato una giovane amica. Trentacinque anni, cinque di convivenza, un buon lavoro. Una donna in gamba, solida, con le idee chiare. Che ha recepito il messaggio che le donne della mia generazione le hanno trasmesso sull’importanza della realizzazione personale. Mi ha detto “tra quattro cinque anni faremo un figlio, no adesso no, vogliamo ancora fare altre cose che una gravidanza ci impedirebbe ”. In teoria una scelta ragionata e comprensibile. Ma tra quattro o cinque anni potrebbe essere tardi. L’orologio biologico, purtroppo, non coincide con i nostri progetti e desideri. Si può obiettare che comunque c’è sempre la possibilità di ricorrere alla fecondazione assistita, come mi ha fatto notare la mia amica, ma, altre amiche che hanno fatto questa esperienza, mi hanno detto che non è una passeggiata e che spesso non riesce.
E se avesse ragione la Ministra?