Fuggire dall’Euro? Ritorno alle monete nazionali? Beppe Grillo ha annunciato che sull’argomento chiamerà gli italiani a un referendum, la Lega Nord, alleata con Marine Le Pen, vorrebbe un ritorno al passato e una fuga dalla moneta europea e una schiera di economisti non ortodossi lo considera l’origine di tutti i mali. C’è anche chi, come l’economista Michele Boldrin, sostiene invece che l’Euro è come la salute, se ne capisce l’importanza soltanto quando viene a mancare.

Resta il fatto che l’Euro sarà uno dei protagonisti della prossima campagna elettorale per le elezioni europee. Per questo vale la pena riflettere su alcuni interrogativi che circolano nella comunità economica e politica. Come ha fatto la Gran Bretagna a sopravvivere alla crisi senza la protezione dell’Euro? Cosa succederebbe se l’Italia uscisse dall’Euro? Che fine farà la moneta europea? Come uno spettro, insomma, l’Euro si aggira per il vecchio continente, ma nessuno conosce bene i suoi destini. Ma torniamo alla Gran Bretagna. Come ha fatto il Regno Unito ad affrontare la crisi senza la protezione di una moneta unica? Quali leve hanno mosso i governi inglesi per potersi permettere di stare fuori dall’Euro malgrado la forte integrazione delle economie dei paesi europei? Gli studiosi di cose inglesi sono d’accordo almeno su un punto. La Gran Bretagna, osservano in molti, ha fatto una scommessa: ha puntato tutto sui servizi e in particolare sui servizi finanziari.

Qualche cifra. Il settore dei servizi rappresenta circa il 73% del Prodotto Interno Lordo del Regno Unito e in particolare il settore dei servizi è dominato dai servizi finanziari come quello bancario o assicurativo. Londra è il più grande centro finanziario dell’occidente dopo Wall Street con il London Stock Exchange, il London International Financial Futures and Options Exchange, la Lloyd’s of London. La capitale scozzese, Edimburgo, è al contempo uno dei grandi centri finanziari d’Europa ed è sede della Royal Bank of Scotland Group, una delle più grandi banche del mondo.

Insomma, in Gran Bretagna si può dire che la finanza è uno dei motori principali dell’economia. “Fino a poco tempo fa – sostiene l’economista Tito Boeri – i tassi di crescita della Gran Bretagna erano sopra i livelli dell’Eurozona. E anche ora che le cose non vanno poi così bene l’economia inglese è competitiva, con un mercato del lavoro dinamico e un livello del debito pubblico ben più basso dell’Italia. Con meno monopoli o oligopoli e tassi di produttività piuttosto alti”. Tutto ciò ha consentito alla Gran Bretagna di accettare la scommessa di restare con la sua sterlina. Diverso e assai più complicato è il caso dell’Italia. L’interrogativo non è sui motivi che portarono all’ingresso del nostro Paese nell’area Euro. Si potrebbe discutere all’infinito se il tasso di cambio Lira-Euro fu congruo o penalizzante per la nostra economia. Ormai l’Italia è a tutti gli effetti dentro l’Euro. Il problema che molti si pongono è se non sia il caso di studiare una exit strategy. E allora vale la pena addentrarsi nello scenario assai buio per la verità che avremmo davanti ai nostri occhi se l’Italia decidesse di uscire dall’Euro.

Anche i più ottimisti sanno che il primo macroscopico risultato di una uscita dall’Euro sarebbe una potente svalutazione della lira. Anzi un vero e proprio crollo. A cui farebbe seguito uno scenario da paura. Non sono i catastrofisti a sostenere questa tesi ma una delle più importanti banche d’affari del mondo: l’Ubs, ovvero l’Unione delle Banche Svizzere. In un rapporto che è rimasto riservato per molto tempo gli analisti dell’Ubs sostengono che a causa di una gigantesca fuga di capitali, la lira crollerebbe del 60 per cento. Una percentuale spaventosa se si pensa agli stipendi e alle pensioni o ancora più drammatica se si immagina che cosa costerebbero i mutui che milioni di italiani hanno contratto con il sistema bancario. La seconda vittima di questo ritorno al passato sarebbe, secondo gli analisti, lo Stato italiano. Se si pensa infatti al livello di fabbisogno finanziario dello Stato e ai livelli iperbolici del nostro debito, è facile intravedere la possibile bancarotta delle nostre istituzioni finanziarie. Lo Stato, infatti si troverebbe improvvisamente davanti a un debito più che raddoppiato in un brevissimo lasso di tempo. La conseguenza di questo tsunami sarebbe immediata: lo Stato non sarebbe in grado di onorare i debiti verso i milioni di sottoscrittori di titoli pubblici, provocando così ondate di sfiducia e di panico dagli esiti incalcolabili. A quel punto il necessario blocco di capitali sarebbe inutile, sarebbe come arginare un fiume in piena con un’asticella.

I primi effetti shock dell’uscita dall’Euro sarebbero un’inflazione devastante e un’esplosione degli interessi. La fuga dai nostri titoli di Stato con la conseguente bancarotta del debito pubblico spingerebbe i tassi d’interessi, secondo le stime più ottimiste dell’Ubs, nella stratosfera. Si calcolano ben 7 punti in più rispetto ai livelli attuali. In questi anni di moneta unica ci siamo abituati a tassi di interessi minimi, vicini alla deflazione, ma se si affermasse uno scenario di questo tipo le autorità monetarie italiane sarebbero costrette da uno spread spaventoso a pagare interessi altissimi per poter pagare gli oneri sui prestiti.

Non basta. L’altro grande tsunami sarebbe costituito dall’inflazione. Non c’è bisogno di essere un economista per sapere che la nostra bilancia commerciale è strutturalmente in passivo, l’economia italiana è dipendente dall’estero per le fonti energetiche come gas, petrolio e altre materie prime essenziali per il 60%. Qualcuno ricorderà lo shock petrolifero degli anni ‘70 quando l’inflazione toccò punte del 20% a causa proprio dell’aumento improvviso del prezzo del petrolio. Ecco, ci spiegano gli economisti dell’Ubs, potrebbe succedere qualcosa di ancora più grave: un barile di petrolio ci costerebbe quattro o cinque volte quello che costa oggi per il semplice motivo che i produttori di petrolio, ad esempio, vorrebbero essere pagati in euro o in dollari e non in una moneta svalutata del 60%. Dunque, l’inflazione, a livelli mai conosciuti, si abbatterebbe su salari e pensioni provocando disastri inauditi sull’economia reale. Altro che i livelli recessivi che già ora hanno toccato l’Eurozona. L’impoverimento da spettro diventerebbe realtà.

Infine il sistema bancario italiano verrebbe minato alle fondamenta: come avvenne in Argentina ci sarebbe una corsa frenetica a ritirare i risparmi dalle banche che rischierebbero in poco tempo il collasso. A nulla servirebbe un congelamento del credito, ipotizzato dallo stesso studio della banca svizzera Ubs. L’abbandono dell’euro, conclude lo scenario dipinto dall’Ubs, costerebbe a ogni cittadino italiano inizialmente tra 9.500-11.500 euro all’anno. Passata l’emergenza, il costo rimarrebbe comunque alto, tra 3-4000 euro all’anno ma del paese ne resterebbero soltanto le macerie, perché a quel punto l’Italia vivrebbe un isolamento politico e finanziario difficilmente recuperabile.

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