Resistenza agli antibiotici e allevamenti intensivi: pericolo “paragonabile al terrorismo”
Ogni anno più di 25 mila persone in Europa (in America 23 mila) muoiono per infezioni causate dall'aumento della resistenza batterica agli antibiotici. Ciò è riconducibile a un abuso degli stessi antibiotici, e specie dagli anni Quaranta del secolo scorso, quando hanno cominciato a trovare applicazione negli allevamenti intensivi di animali: cioè più capi per metro quadro.
Mangiamo troppa carne. Anche in Italia, dove se ne consuma (e senza dimenticare gli insaccati) quasi il doppio di quella consigliata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Sono peraltro noti sia l’impatto del consumo di carne sul mondo circostante, sia quello sul nostro organismo.
Meno noto, ma anche meno controverso dal punto di vista scientifico, è l’aumento della resistenza antibiotica dei batteri: illustri scienziati inglesi o americani la considerano “una minaccia paragonabile al terrorismo”. Ogni anno più di 25 mila persone in Europa (in America 23 mila) muoiono per infezioni causate dalla resistenza batterica agli antibiotici.” Ciò è riconducibile a un abuso degli stessi antibiotici (che ha accelerato il processo di selezione di batteri resistenti), tutt’oggi prescritti anche per malanni impertinenti, ma specie a una loro applicazione, a partire dagli anni Quaranta del secolo scorso, negli allevamenti intensivi di animali: cioè più capi per metro quadro.
É difatti risaputo che in tale ambito gli antibiotici, per citare la rinomata rivista Nature, “non servono solo a prevenire o trattare le infezioni ma anche a far crescere gli animali più velocemente”.
Perciò in Europa dal 2006 è stato vietato l’uso di antibiotici che favoriscono la crescita degli animali. Ma la resistenza agli antibiotici stessi non ha confini politici né barriere. Dunque non è irrilevante sapere che, negli Stati Uniti, un 80% degli antibiotici è usato negli allevamenti intensivi: tanto che anche recentemente è stata criticato l’ente governativo apposito (la FDA) per aver autorizzato nell’alimentazione di capi da allevamento intensivo ben 30 diversi tipi di antibiotici, 18 dei quali valutati come ad alto rischio di induzione della resistenza antibiotica nella catena alimentare. Tutto ciò in un paese in cui dal 1998 ad oggi sono state approvate solo due nuove classi di antibiotici. O più precisamente, solo 5 nuove classi di antibiotici sono state immesse in quel mercato negli ultimi 45 anni: dato che la maggior parte degli antibiotici è stata sviluppata prima del 1968. Questo anche perché i costi di ricerca e sviluppo sono molto alti, al contrario dei ricavi che sono più bassi rispetto ad altri farmaci. E l’industria farmaceutica non ha particolari interessi a riguardo.
Così, dato che i batteri resistenti si diffondono ovunque, appare preoccupante anche ciò che è avvenuto in Cina: dove si è registrata una transizione al modello alimentare nord-occidentale. E, in soli 34 anni, si è passati a consumare dai 9 milioni di tonnellate di carne del 1978 ai 52 milioni di tonnellate del 2012, come mostra il grafico.
Tanto che alcuni degli antibiotici di prima linea più diffusi sono ormai poco efficaci negli allevamenti intensivi cinesi.
D’altra parte sta considerevolmente aumentando anche la resistenza a classi di antibiotici, quali ad esempio i carbapenemi, che pure non sono autorizzati negli allevamenti intensivi né europei né mondiali.
Tali antibiotici sono l’ultima spiaggia per la cura di due batteri responsabili di infezioni urinarie o sepsi o altre infezioni, Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae: entrambi sotto sorveglianza in quanto sempre più resistenti. E l’Italia, come riportato dall’Istituto Superiore della Sanità, è nel gruppo di paesi con livelli di resistenza più altinella maggior parte di tali specie patogene.