“Il pensiero che anche una sola ragazza possa recepire il messaggio proposto da questo programma mi inorridisce e per questo ho deciso di intervenire, seppur nel mio piccolo, con questa petizione“. Così scrive Camilla Bliss nel suo appello online raccolto da migliaia di persone che chiedono la cancellazione del programma “Come mi vorrei” condotto da Belen Rodriguez.
Sui social network si parla di questa petizione come se il programma fosse il male del secolo e di Camilla come se rappresentasse “l’angelo (vendicatore) del bene”. Al successo della petizione contribuisce, a mio avviso, un’antica avversione nei confronti di Belen “colpevole” di aver mostrato una farfalla tatuata di troppo durante il festival di Sanremo 2012 e oggetto di moralismo per la maniera attraverso la quale si guadagna fama e pagnotta, ossia un sapiente mix tra bellezza e sfrontatezza.
Protagonista di pubblicità e programmi televisivi in cui mostra il suo corpo senza pudore, a lei non si può certo permettere di essere una guida fashion per ragazzine incerte. Molto meglio o una suora che attraverso un talent show musicale parla ai giovani dell’amore per la fede e per Dio, o la femminista perfettamente parodiata dalla serie televisiva “Portlandia” che alla ragazza che vuole un look diverso dice “sii te stessa…” ovvero “sii come me”.
Altro motivo del successo di questa petizione è la brutta influenza culturale che un certo femminismo moralista ha avuto presso le ragazze armate di mouse e tastiera in perenne ronda antisessista con l’obiettivo di segnalare pagine e manifesti sui social network o di chiedere la censura del programma televisivo che non le rappresenta. D’altronde in gioco c’è la dignità della donna, una dignità talmente fragile da essere immediatamente distrutta dalla visione di immagini e programmi tv capaci, per l’appunto, di trascinare l’ignara pulzella in un vortice infernale.
In tutto questo vedo una deriva autoritaria visto che la censura è l’arma semplice di chi, tra l’altro, non sa produrre percorsi educativi e formativi che possano dotare ragazze e ragazzi di strumenti alternativi di lettura. Vedo anche un certo snobismo per il quale chi sta davanti allo schermo è una semplice spettatrice passiva, incapace di intendere e volere, non in grado di esprimere una valutazione a favore o contro un determinato tipo di programmi. Insomma, in una parola, un’ebete eterodiretta che non sa fare la vera mossa rivoluzionaria e libertaria: cambiare canale.
Nessuno obbliga nessun@ a vedere questa trasmissione e il fatto che si pensi alla televisione come allo strumento del diavolo che può corrompere le nostre figlie per me è anche parecchio medioevale. I toni apocalittici della petizione d’altronde lasciano intravedere un destino oscuro per tutte quelle che saranno toccate dalla vista di questo programma.
“Mi inorridisce”, dice Camilla. Io però mi chiedo se la disoccupazione, la precarietà, la campagna elettorale giocata sul razzismo alla quale stiamo assistendo in questi giorni inorridisce altrettanto le migliaia di persone che hanno sottoscritto la sua petizione.
Di cosa parliamo quando ci riferiamo a “Come mi vorrei?”. Parliamo di un format tipico, come ce ne sono tanti, in cui insegnano alle persone come vestirsi, come parlare, vivere, mangiare, muoversi, ballare, cantare, essere, ragionare, pensare, arredare una casa, fare un figlio, sposarti, fare sesso (sì, in tv si insegna anche questo). Facendo zapping si trova la coppia di perfetti sconosciuti che tra gridolini e smorfie di disapprovazione fa radiografie agli armadi altrui perché qualcuno sceglie di rifarsi il look. Nulla di nuovo, dunque, che non sia stato già visto. Tutto ciò avviene per scelta – ed è questa la parola chiave – delle persone che chiedono specificatamente questo genere di interventi. Sempre che si tratti di vere richiedenti e non di persone che abbiano superato un casting.
Così, una ragazza rivolge l’appello a Belen e lei, assieme a un’equipe di professionisti del rifacimento trucco/capello/abbigliamento, recita la parte della fatina buona che trasforma Cenerentola in una principessa dalla scarpina di vetro. Un cliché vecchio quanto il mondo.
Dov’è il fastidio? Posso capirlo: tutto gira attorno a quello che desidera il “lui” di turno. Programma etero normativo, sessista in questo senso, in cui qualcuno dice alla ragazza che così com’è è sbagliata e allora bisogna cambiarla affinché piaccia agli uomini. Sessista è anche il fatto che si immaginano gli uomini come corpo unico e quindi come un unico, grande luogo comune.
Pongo infine una domanda: chi vuole censurare quali alternative propone? Che tipo di modello vorrebbe offrire come esempio alle ragazze? Perché è da lì che si capisce quali sono gli umori che animano questa esigenza di tagliare, oscurare, moralizzare invece che decostruire, sovvertire, in poche parole “fare cultura”. Il mio suggerimento? Togliamoci tutti il vizio di chiedere la censura per tutto quel che non condividiamo e non ci rappresenta. Se non vi piace un programma non guardatelo. Ancora meglio: spegnete la televisione e magari leggete un buon libro. A vostra scelta.