Il pregio maggiore non è tanto offrire argomenti positivi a sostegno dell’euro e dell’Europa così com’è (tutte le persone di buon senso sono convinte che ci siano cose da migliorare), quanto evidenziare i non sequitur tipici dei tifosi dell’uscita dall’euro. Un esempio è il capitolo: “Fuori dall’euro si cresce di più”. Tra 2007 e 2013 l’area dell’euro ha aumentato le sue esportazioni dell’11 per cento con un tasso di cambio stabile, la Spagna e la Germania hanno fatto +16, mentre l’Italia è rimasta piatta. Il Regno Unito, fuori dall’euro ha avuto un export in crescita dell’8 per cento, la metà di Spagna e Germania, anche se la sterlina si è deprezzata del 20 per cento (cosa che avrebbe dovuto determinare un boom dell’export). Lo zloty polacco si è deprezzato del 7 per cento e la corona ceca si è lievemente apprezzata, eppure le esportazioni di entrambi i Paesi sono aumentate del 25 per cento. E le performance della Gran Bretagna dipendono dalla sterlina o dall’austerità applicata dal governo di David Cameron, incluso il crollo dei salari reali del 6 per cento mentre in Italia continuavano a crescere? O dall’aver ricapitalizzato il sistema bancario dopo la crisi del 2008? Chissà.
Bini Smaghi dimostra così in poche pagine che le scorciatoie cognitive degli anti-euro non reggono appena l’analisi va oltre lo slogan, che Italia e Gran Bretagna hanno tante differenze, non soltanto la valuta. Unico appunto: Bini Smaghi dedica un post scriptum all’estate del 2011, quella in cui iniziò il panico finanziario da spread e la caduta di Berlusconi. Come molti altri protagonisti di quei mesi, il banchiere fiorentino avrebbe moltissimo da raccontare, ma si limita a una analisi distaccata. Forse non è ancora tempo per svelare tutto.