Una teleferica che sale al dirupo del Monastero delle Tentazioni permette di vedere dall’alto gli scavi archeologici sul bordo dell’oasi di Gerico, considerata la più antica città del mondo. E’ iniziata lì 9500 anni fa la città. Poi Ur, Ugarit, Mersinia, Menfi, Haraptà, Mohenjo-Daro, che dalla fine del calcolitico entrano nella narrazione storica. Dopo, quasi ovunque, un diluvio di centri urbani. In crescita progressiva. Al punto che ormai il globo intero è fatto di città. Le popolazioni della Terra, in gran parte, sono abitanti di quelle città. Il risultato di questo spostamento di massa è un solido dalle molte facce. I risvolti positivi di questa emigrazione indotta, diversi.A partire da quelli sociali, passando per quelli delle condizioni di vita, senza dimenticare quelli legati alla salute. Insomma maggiori opportunità di avere relazioni, come la possibilità di usufruire, più facilmente, di servizi migliori. Ma anche risvolti negativi, che poi sono gli stessi che dovrebbero innescare esiti positivi. Soltanto che ne costituiscono la degenerazione, la cattiva pratica.
Così, in pericolosa oscillazione tra due estremi, la Terra celebra la sua giornata mondiale. Nella quale ad essere protagonista è la vita urbana. Ormai lontanissima da quella delle origini. Grattacieli da record al posto delle insulae dell’età romana. Materiali evoluti che rispondono a standard diversissimi da quelli dell’antico passato. Progetti nei quali gli spazi hanno la necessità di essere ottimizzati in nome di un risparmio di suolo divenuto improcrastinabile. Architetti e urbanisti continuano a confrontarsi su “espansione” e “densificazione”, sullo sviluppo migliore. Sulle scelte da farsi. Centro e periferia spazi della città da avvicinare. Intervenendo sui primi, spesso svuotati di contenuti e quindi fossilizzati non solo nelle forme. Ma anche ridisegnando le seconde, troppo spesso satelliti la cui funzione preminente è quella di offrire riparo per la notte.
Servono servizi, sono necessarie le funzioni. Tra queste, naturalmente, il verde. Che continua a farsi sempre più esiguo. Sostituito da nuove costruzioni, da altri metri cubi di cemento.
Cicerone in una lettera a Varrone, scriveva: “Se accanto alla biblioteca hai un giardino, allora non ti manca nulla”. Mentre il poeta inglese Abraham Cowley sosteneva, in The Garden, che “Dio creò il primo giardino e Caino la prima città”. Quale sia più vera delle due frasi, quanto risulti più fondata, lo si può appurare avventurandosi per le periferie delle megalopoli del mondo. Ma anche ai margini delle grandi città europee. Dove biblioteche e giardini insieme ci sono di rado. Ed ancor meno frequentemente si segnalano per come si offrono all’utenza. Dove le città sembrano davvero il prodotto dei figli di Caino.
Il verde fa bene. Così dal momento che aumenta la popolazione e diminuisce la terra coltivabile gli architetti e i biologi progettano fattorie verticali e città per maiali. In Svezia i lavori per il grattacielo-serra, finiranno entro il 2014. Sarà il primo urban sky-craper a combinare agricoltura verticale e produzione industriale. Tutto nasce da quello che non è ancora un bisogno, ma lo sarà presto stando all’allarme lanciato dalla Fao. Oggi abbiamo superato la soglia dei sette miliardi di abitanti e l’impronta agricola è pari all’intera superficie del Sudamerica. Nel 2015, forse anche prima, gli abitanti saranno oltre 9,5 miliardi e di terra coltivabile non ce ne sarà abbastanza per sfamare tutti. Per questo i campi superano la dimensione orizzontale. Così il progetto City Pig, che prevede una serie di torri dove i suini possono muoversi liberi, dello studio Mvrdv. Come l’avveniristica Dragonfly Farm del belga Vincent Callebaut per New York, la futuristica Seawater Vertical Farm di studio mobile per Dubai. Insomma si studiano soluzioni allo sviluppo futuro. Si cercano risposte efficaci alla riduzione degli spazi “verdi” nelle città.
Ma la riflessione riguarda naturalmente anche la mobilità, problema centrale, troppo spesso irrisolto, di molti centri urbani. Criticità che generano altre criticità, a partire da quelle connesse all’inquinamento.
Sempre più la città è la cifra del mondo. Contemporaneamente causa ed effetto di politiche, non solo ambientali, inadeguate. Ancora contrassegnate da troppi particolarismi. Quanto le tecnologie possano positivamente accrescere la qualità delle città lo dimostrano le smart city. Quelle delle regioni europee affacciate sul Mar del Nord. Oppure Santander, che con i suoi 12 mila apparecchi regola il traffico, i parcheggi, gli accessi ai servizi. Ma anche questa iniezione di innovazione può non bastare. Perché se dietro e dentro la tecnologia non ci sono contenuti le città rimangono muti aggregati dell’umano sfinimento. La storia insegna che una perfetta organizzazione non basta a costruire una città. Servono Cultura e condivisione. Serve quella pluralità che La Pira avrebbe chiamato “anima”.