Dopo il provvedimento di Renzi, le associazioni dei parenti delle vittime sono concordi: "Una buona parte degli apparati che depistarono e occultarono sono ancora attivi"
Il presidente del Consiglio ha dato l’annuncio: desecretare gli atti relativi alle stragi e trasferirli all’Archivio di Stato. Da Piazza Fontana a Piazza della Loggia, dalla Stazione di Bologna a Ustica fino alle bombe di mafia del 1993. Tutto, dice Matteo Renzi intervistato domenica da Repubblica, sarà accessibile: annotazioni, informative, veline. Certo, la decisione presa venerdì scorso in una riunione al Comitato per la sicurezza nazionale (Cisr), non ha ancora una pianificazione concreta. Esattamente quella che chiedono le associazioni delle vittime di queste stragi.
Il concetto per tutti è chiaro: qui non si tratta di segreto di Stato, che per queste vicende non è mai stato messo; si tratta, invece, di tutti quei documenti riservati chiusi negli archivi militari e in quelli dei Servizi segreti. Per Daria Bonfietti, ex parlamentare Pd e presidente dell’Associazione delle vittime di Ustica, la parola chiave è una sola: “Aprire tutti gli archivi, di tutti gli apparati dello Stato, senza esclusione, per confrontare quello che ci è stato riferito in aula con quello che fu realmente redatto, solo così avremo finalmente la verità”. Un’operazione trasparenza che trova d’accordo anche il deputato Pd Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione delle vittime per la strage di Bologna del 2 agosto 1980. “Bene fa Renzi a seguire questa strada”. Anche perché, prosegue, “i fatti di cui parliamo solo apparentemente sono datati”.
Tradotto: “Una buona percentuale degli apparati dell’epoca che depistarono e occultarono, sono ancora in pista”. Certo Andreotti non c’è più, ma l’idea che Renzi su questa strada potrà trovare molta resistenza è ben chiara a Bolognesi: “Staremo a vedere, ma per avere normali livelli di trasparenza, bisogna disporre degli archivi militari, del ministero degli Esteri e di quello dei carabinieri”. Anche perché, in certi casi, come avvenuto per l’inchiesta sulla strage di Piazza della Loggia (28 maggio 1974), alcune informative rilevanti non sono mai arrivate sul tavolo della magistratura. Spiega Manlio Milani presidente dell’Associazione delle vittime della strage di Brescia: “E’ capitato con una velina redatta dal generale Gianadelio Maletti inviata alla magistratura e mai arrivata, per essere poi ritrovata nel 1996 in un magazzino abbandonato lungo la via Appia Antica a Roma”.
Perché la domanda è: quanti documenti riservati non sono mai arrivati all’autorità giudiziaria? “Anche per questo – ragiona Milani – ritengo buona la decisione di Renzi”. Ma con un avvertimento decisivo: “Nel momento in cui gli archivi saranno aperti, la gestione deve essere separata da chi li ha prodotti”. Un punto sul quale è d’accordo anche Bolognesi. “Chi controllerà questi atti non dovrà certo rendere conto al generale di turno”. Ben si capisce che in questa partita storica il segreto di Stato c’entra poco. Spiega Felice Casson, segretario dell’organo di controllo dell’intelligence (Copasir): “Non c’è nessun segreto di Stato sulle stragi. Ma ci sono ancora una serie di atti che possono riguardare polizia o carabinieri che, se resi pubblici, possono contribuire a fare luce sui fatti”. Il presidente dell’Associazione per le vittime della strage di via dei Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli va oltre: “Soprattutto ci sono persone che non vogliono parlare”. Staremo a vedere, anche se un investigatore che si occupò delle bombe di Cosa Nostra resta scettico sulla possibilità di accedere a tutti gli atti: “Molti – ci dice – sono stati delegati dall’autorità giudiziaria, i servizi segreti non c’entrano, e su questi, che sono i più rilevanti, non c’è possibilità di accesso”.
da Il Fatto Quotidiano del 22 aprile 2014