In Ucraina si ritorna a combattere, mentre sembra naufragare l’effimero accordo diplomatico di Ginevra. Il presidente ad interim Oleksandr Turcinov ha ordinato in serata la ripresa dell’operazione militare contro i filorussi nelle regioni dell’est, interrotta per qualche giorno per una tregua pasquale, macchiata tuttavia subito da una sparatoria con almeno tre insorti uccisi.
L’annuncio è arrivato stasera poco dopo che il ministero della Difesa di Kiev ha diffuso la notizia di un aereo militare ucraino colpito dai filorussi con “diversi proiettili” mentre compiva “un volo di ricognizione” a Sloviansk, e proprio nello stesso giorno in cui il vice presidente americano Joe Biden – in visita ufficiale in Ucraina – ha lanciato un messaggio che suona come un avvertimento per Mosca: gli Stati Uniti sono al fianco dell’Ucraina contro le “minacce umilianti” che subisce. Poche ore dopo Turcinov ha disseppellito l’ascia di guerra, almeno a parole, motivando l’ordine di ripresa dell’offensiva con il presunto ritrovamento “dei cadaveri di due persone brutalmente torturate” nei pressi di Sloviansk, una città della regione di Donetsk in mano ai miliziani pro-Mosca. Uno dei due corpi senza vita – stando ai media ucraini – potrebbe essere quello di Vladimir Ribak, un politico locale del partito di Iulia Timoshenko ‘Patrià dato per rapito giovedì scorso. Ma non ci sono conferme indipendenti, tanto più che il cadavere, rinvenuto sulle sponde del fiume Severski Donec sarebbe rimasto in acqua per diversi giorni ed è quindi “difficilmente identificabile”.
A meno di una settimana dal documento di Ginevra, firmato il 17 aprile da Ue, Usa, Russia e Kiev per provare a disinnescare la crisi ucraina, la tensione nella repubblica ex sovietica torna dunque alle stelle. E l’Ucraina è sempre di più terreno di contesa tra Russia e Occidente, Stati Uniti in testa. L’intesa prevedeva tra l’altro il disarmo delle milizie armate irregolari, ma i filorussi – che non si sentono vincolati all’accordo – si rifiutano di abbandonare il campo e così facendo, secondo Turcinov, “mettono una croce” sull’accordo. Gli insorti dell’autoproclamata ‘Repubblica di Donetsk’ chiedono a loro volta che i primi a consegnare le armi siano i nemici del gruppo paramilitare ultranazionalista ‘Pravi Sektor’, e insistono per un referendum sullo status delle regioni orientali che trasformi l’Ucraina in uno Stato federale (come vorrebbe Mosca). Ma questo voto per la sovranità dell’area potrebbe anche essere un primo passo verso l’annessione alla Russia sulla falsariga di quanto avvenuto in Crimea. E a complicare le cose ci sono i sospetti di Kiev e Washington che tra i miliziani ci siano degli uomini delle forze speciali russe, come dimostrerebbero foto pubblicate dalla stampa americana.
Intanto, mentre il Pentagono annuncia l’invio di 600 soldati in Polonia e nei Paesi baltici, per un’esercitazione promossa sullo sfondo della crisi, da Kiev Joe Biden è tornato a chiedere alla Russia di ritirare le proprie truppe alla frontiera con l’Ucraina (40.000 militari secondo alcune stime) avvertendola che, altrimenti, rischia un “maggiore isolamento” e anche nuove sanzioni. Il vice di Barack Obama ha anche sottolineato che il Cremlino deve smettere di “sostenere gli uomini che si nascondono dietro delle maschere”: cioè gli insorti filorussi armati che spesso indossano passamontagna e che occupano edifici amministrativi in una decina di città dell’est del Paese. E ha lanciato un’ulteriore sfida al Cremlino dichiarando che la Casa Bianca è pronta ad “assistere” l’Ucraina anche rendendola meno dipendente dal gas russo. Mosca, dal canto suo, sembra tuttavia pronta a raccogliere il guanto, e si dice decisa a resistere a nuove ipotetiche sanzioni occidentali. “Il nostro popolo – ha tuonato il premier Dmitri Medvedev – non diventerà ostaggio di giochi politici” e di “sanzioni vergognose”. Intanto Mosca deve fare i conti con il dissenso dei Tatari di Crimea che avevano boicottato il referendum per l’annessione russa: un leader di questa minoranza, Mustafà Zhemilev, tra i più critici verso il Cremlino e legato a doppio filo che il nuovo potere di Kiev (è deputato del partito Patria, di Iulia Timoshenko), è stato bandito per cinque anni dalla Russia, compresa la Crimea. Dopo la carota della riabilitazione, decisa ieri da Putin a favore dei tatari e di altre comunità etniche deportate in epoca sovietica da Stalin, per lui è arrivato il bastone.