Marcello Dell’Utri è detenuto in Libano. E nonostante la distanza e i guai giudiziari è l’unico del cerchio magico di Silvio Berlusconi ad essergli rimasto fedele. Gli altri no: lo hanno abbandonato tutti. I vecchi amici, quelli con cui ha condiviso i vent’anni dalla discesa in campo ad oggi, hanno preso altre strade. Tutte assai dolorose per l’ex Cavaliere. Il suo delfino Angelino Alfano, pur arrivato alla corte dell’ex premier più recentemente, ha deciso di lasciare il suo mentore quando questi non voleva più sostenere il governo Letta. Ha fatto il ‘responsabile’, ma non alla Scilipoti: addio Silvio ed ecco un partito. Nuovo Centrodestra. Un tradimento già nel nome, specie per chi il centrodestra in Italia lo ha creato; ma soprattutto una beffa in considerazione di coloro che hanno seguito l’ex segretario del Pdl: due su tutti, Schifani e Cicchitto, entrambi esponenti di quella Forza Italia che fu. E che ora non c’è più, specie per quanto avvenuto nelle ultime settimane (la porta sbattuta da Fini è ormai storia patria).
Se infatti lo strappo di Alfano poteva anche essere nell’aria in virtù di una differente valutazione politica – o esigenza? Alfano ha voluto e dovuto mostrare il ‘quid’ per farsi una vera carriera e non vivere sempre all’ombra -, ben più inaspettato l’addio del portavoce per antonomasia Paolo Bonaiuti. Anche qui doppio schiaffo: addio alla corte del (presunto) miracolo italiano in salsa azzurra e salto della quaglia in Ncd. A Bonaiuti, dice la vulgata, non è andata giù l’investitura del giornalista Giovanni Toti come consigliere politico del fu Cavaliere. Ci è rimasto male, Paolo, e se n’è andato. A sentire Dagospia, però, il motivo è un altro: l’affinità elettiva tra Berlusconi e il suo portavoce si sarebbe affievolita perché quest’ultimo, al processo Ruby, non avrebbe avvalorato la circostanza secondo cui il suo Capo, in una cena datata con il presidente egiziano Mubarak, avesse chiesto lumi al rais sulla sua fantomatica nipote Karima. La strategia dei legali del premier si basava proprio su questo passaggio: sulla buonafede di Silvio. In tal senso, la mancata sponda di Bonaiuti non è piaciuta per niente, né a Silvio, né alla coppia Ghedini/Longo. Conseguenze? Portavoce silenziato. E portavoce arrabbiato, tanto da passare con il nemico. Questioni politico/giudiziarie, insomma. Ci può stare.
Ma Bondi no, Bondi non se l’aspettava nessuno. Sì, è vero: già qualche mese fa Sandro aveva fatto capire che la strada intrapresa dalla nuova, vecchia Forza Italia non gli stava piacendo. E non aveva gradito neanche l’allontanamento (o ridimensionamento) della storica segretaria di Silvio Marinella Brambilla. Eppure a luglio aveva testimoniato ancora una volta il suo amore viscerale per il mentore di Arcore: “Se Silvio viene condannato è finita, lascio la politica”, aveva detto in un’intervista a La7.
Oggi, però, la versione di Sandro è diversa. Malinconica, crepuscolare e anche un po’ naif: lascia Silvio perché Forza Italia ha fallito nonostante la grandezza imperitura del leader, abbandona il centrodestra perché non ha futuro, sostiene Renzi (ma non dice che passerà al Pd) perché a suo dire il domani parla fiorentino. Al di là delle motivazioni (più o meno credibili), resta il fatto che quello dell’ex sindaco di Fivizzano (ed ex comunista) sembra esser lo scatto d’orgoglio di un innamorato ormai disilluso, che lascia la vecchia amante perché attratto dalla nuova fiamma (che non potrà avere). Perché per Sandro, Silvio era un vate, una fonte d’ispirazione anche letteraria. Non si spiegherebbero altrimenti, del resto, questi versi dedicati a Berlusconi: “Vita assaporata Vita preceduta Vita inseguita Vita amata. Vita vitale Vita ritrovata Vita splendente Vita disvelata Vita nova“. Titolo: “A Silvio”. Autore: Agostino da Turalgo, lo pseudonimo artistico di Sandro Bondi, che ha dedicato poesie a tutte le figure più importanti della vita di Silvio, dalla mamma Rosa a Gianni Letta (che c’è ancora, ma non si vede più), fino ad arrivare a Veronica Lario. Quest’ultima è stata una storia di altri tradimenti e di sonori risarcimenti, che tuttavia ha un particolare in comune con l’addio di Bondi: entrambi arrivano con una lettera inviata ai giornali, Veronica a Repubblica, Sandro a La Stampa (Letta invierà una missiva al Fatto Quotidiano?).
Al netto di ogni commento più o meno dissacrante, resta un considerazione: la testimonianza plastica della fine del berlusconismo non è nelle condanne dei giudici (anche perché Silvio è ancora una volta in campagna elettorale), né nelle manovre da Transatlantico di pseudo alleati e nemici storici. E non è neanche negli ultimi colpi di coda di un’opposizione (a B.) incapace per vent’anni di essere tale. No: la fine della parabola dell’ex Cavaliere ormai dimezzato è negli addii di chi ne ha accompagnato l’ascesa e, perché no, anche la discesa. Silvio, per dirla tutta, senza Angelino, Paolo e Sandro è depotenziato. Ha perso appeal. Gli resta Dudù.