Uno studio compiuto dal maggiore sindacato ha intervistato 7500 docenti. Uno su 5 dichiara di avere ricevuto insulti sul web. E tra questi uno su dieci si è rivolto alle forze dell'ordine. Ma le denunce quasi mai sfociano in vere azioni legali
Dopo due settimane di vacanze pasquali, gli insegnanti britannici sono tornati in classe con una certezza: quella di essere sotto l’attacco di una generazione 2.0. Mentre un tempo il momento dello scontro era quello dei colloqui con mamma e papà, ora per chi insegna le minacce arrivano da computer, tablet e telefonini. Questo dice il sondaggio condotto da uno dei sindacati degli insegnanti: dei 7.500 insegnanti intervistati, il 21% ha dichiarato di essere stato, nel 2013, vittima di un abuso su Internet, da parte sia di studenti che di genitori. Si va dalle calunnie alle offese gravi, spesso a sfondo sessuale o legate all’aspetto fisico. Ancora, spesso, video che riprendono gli insegnanti senza il loro consenso vengono postati su Facebook e commentati da studenti non proprio benevoli. “Spesso questo clima maligno dei social media contribuisce a stress, depressione e talvolta anche a licenziamenti – dice ora al fattoquotidiano.it il sindacato National association of schoolmasters union of women teachers (Nasuwt) – e per molti docenti questo significa un peggioramento della salute e della qualità della vita”.
“Tu sei un pedofilo e tua figlia è una prostituta” è uno dei tanti commenti rivolti a un insegnante e raccolti dal sindacato. Un altro studente di 15 anni – l’età media di chi insulta è fra 14 e 16 anni, anche se ci sono offese messe in atto da bambini sotto l’età dei 10 anni – ha scritto su Facebook che avrebbe voluto uccidere il proprio professore, ricevendo una valanga di adesioni. Ancora, foto di alcolizzati scattate fuori dai pub e con didascalie che riportano all’identità di ignari docenti. Una teoria di abusi che ha portato l’11% di chi li ha ricevuti a rivolgersi alla polizia. Ma, spesso, soprattutto quando si ha a che fare con bambini e ragazzi, non ci sono i presupposti necessari a un’azione legale. E anche le scuole, rivela il sindacato, scoraggerebbero gli insegnanti a proseguire nella loro difesa per non compromettere la tranquillità delle classi.
Molti gli insegnanti pronti a lasciare il loro lavoro per le pressioni provenienti dai social media. Le piattaforme più utilizzate per gli insulti sono Facebook, Twitter, YouTube, Instagram, Snapchat e Ratemyteacher, un sito che consente di valutare il proprio insegnante. Il sindacato ha pure analizzato la natura di questi insulti. Il 47% è composto da frasi denigratorie relative a sessualità e apparenza fisica, il 50% è fatto di commenti legati alle competenze dei professori, mentre il 26% è composto da video e fotografie pubblicate senza il permesso dei docenti. I commenti provenienti dai genitori, invece, presentano un 7% di vere e proprie minacce all’integrità fisica dell’insegnante attaccato e un 63% di critiche pesanti e spesso gratuite all’operato del professore. “Molto spesso gli insegnanti ne escono devastati e sono costretti a prendere antidepressivi e a ricorrere allo psicologo o allo psichiatra”, mette ora in guardia il sindacato. E chi va dalla polizia riceve poco supporto: “Chi denuncia viene ascoltato e trattato bene, ma poi quasi mai viene intrapresa un’indagine”.