Cultura

Libri: Omero è nato a Mogadiscio

Il libro di Michele BrusiniOmero è nato a Mogadiscio – è unico nel suo genere. Non è un romanzo, ma ha il ritmo e la magia lirica del romanzo, non è un report, ma fornisce gli strumenti necessari per osservare scientificamente un fenomeno sociale, non è un manuale di sociologia, ma ha l’approccio metodologico di una ricerca complessa e riuscita. E’ un libro che conosce e racchiude tutte le forme e tutti i metodi di camminamento e di discendimento nei meandri di un fenomeno, di una Storia contemporanea, che alcuni la vivono da “avanguardia” (p. 19), seppur anonima, e altri da spettatori interessati e, in ogni caso, o malgrado loro, coinvolti.

Il libro di Brusini è un viaggio teso e inquirente in quella che è stata definita “emergenza Nord Africa”; un viaggio difficile, multiforme e spinoso, perché l’autore non lo fa contemplando dall’alto i fatti, ma sgomitando tra i protagonisti del libro: ovvero i profughi giunti in Italia nella primavera-estate del 2011, a seguito delle sollevazioni arabe e alla guerra scatenata dalla Nato e dalla “coalizione dei volenterosi” in Libia. Cosa sappiamo di queste persone, oltre i numeri ripetuti – tra l’altro ossessivamente e spesso erroneamente – da giornali e telegiornali? Di dove erano? Chi erano? Cosa cercavano? Come cercavano? Quali risposte dalle istituzioni? Cosa ne è stato di loro a distanza di tre anni? 

E’ a queste domande che Michele Brusini, giovane scrittore e anche operatore sociale, fornisce delle risposte, seguendo da vicino e descrivendo dettagliatamente il “tempo spezzato” (p. 21), quello dell’accoglienza e quello dell’integrazione, per coglierne le contraddizioni, i ritmi sincopati, per ingrandire i dettagli che svelano ciò che è celato, o che semplicemente a molti non interessa. Il luogo è circoscritto – Udine (le strutture di accoglienza della Caritas) – ma che nel libro, e anche al di là delle stesse intenzioni dell’autore, assume oggettivamente un valore universale, diventa il luogo da dove iniziare a squarciare il velo del silenzio e dell’oblio.

Spenti i riflettori dei media, tradizionalmente più attratti dalle tragedie che dalle piccole storie umane, i volti e i destini di migliaia di persone, scampate dalla morte e dalla fame, si dissolvono, scompaiono. Ma, questa volta, non per sempre, perché molti vengono recuperati nel bel libro di Brusini, dove prendono vita e occupano la scena. I profughi diventando alla fine talmente familiari da avere l’impressione di aver stretto loro la mano o di averli accompagnati personalmente davanti alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, o negli uffici e supermercati della zona. 

Ovviamente è impossibile dare minimamente conto di ciò che accade in questo libro-romanzo-report-mondo, in questa fitta selva di dettagli, di atmosfere, di fatti, di dialoghi, di suoni, di volti e di odori (di cipolla), in cui si intrecciano le vite di profughi venuti da lontano e quelle degli operatori che vivono vicino. Intrecci non sempre facili e semplici, anzi! Alle difficoltà oggettive derivanti dalla accoglienza istituzionalizzata, che determina da subito un rapporto di tipo gerarchico tra “ospite” e “ospitante”, se non proprio di tipo custodiale, occorre aggiungere quelle che scaturiscono dalle biografie dei singoli coinvolti, dalle loro storie e contesti culturali di provenienza. Di tutto questo, Brusini non fa un semplice schizzo, giusto per dare un’idea generale di quel che accade e per accontentare osservatori superficiali; al contrario, egli sceglie la strada più difficile, cioè ne fa una fotografia, che finisce inevitabilmente per rivelare tutto quello che si trova davanti all’obiettivo, senza infingimenti, senza mistificazioni. La verità, pura e cruda. 

Come risultato, abbiamo alla fine un libro che, nonostante non ambisca apertamente a porre questioni teorico-politiche, finisce comunque per interrogare e scuotere dalle fondamenta l’intero sistema di accoglienza per immigrati in Italia (non a caso il sottotitolo del libro è: Storie di chi in Italia cercava l’America e non ha trovato nemmeno l’Italia). Il merito di Brusini è, in questo caso, quello di farci capire la tumultuosa realtà dell’accoglienza, portandoci per mano nei luoghi, nelle stanze, nei magazzini, nei pianerottoli e negli uffici in cui si organizza e si gestisce concretamente l’accoglienza e anche l’integrazione degli stranieri, descrivendoci con sapienza e delicatezza le sfumature, le ambiguità, le difficoltà reali e apparenti.

Questo di Brusini – il cui talento nella scrittura si rivela qui solo come la punta di un iceberg fatto di cultura e di curiosità – non è un libro che, una volta finito, lo si appoggia sullo scaffale per dimenticarselo. No, questo è un libro che coloro che sono impegnati sui temi dell’immigrazione e dell’asilo in Italia, in particolare gli operatori sociali, devono tenere sul comodino, per consultarlo quotidianamente e per porsi domande sulle diverse situazioni che ogni giorno affrontano e, sicuramente, si troveranno ad affrontare anche in futuro.