Si chiude con una richiesta di archiviazione per gli indagati e un duro atto d’accusa nei confronti dei tagli alla sanità pubblica il caso di Gino Bragaglia. Nel pomeriggio del 31 dicembre 2012, l’ottantenne fu trovato morto sulle scale antincendio di un padiglione dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna. La sua scomparsa era stata denunciata ben due giorni prima, il 29, quando intorno alle 5.50 del mattino gli infermieri del reparto di medicina interna, al terzo piano del padiglione 2, non lo trovarono nel suo letto.
Il sostituto procuratore di Bologna, Simone Purgato, ha scagionato gli unici tre indagati per il decesso dell’uomo, che scappò uscendo da una porta d’emergenza. Il cadavere dell’uomo venne ritrovato dal figlio dopo che per due giorni infermieri, vigilanza privata e polizia lo avevano cercato dappertutto. Ovunque meno che in quella rampa di scale che dava su via Pelagio Palagi, una strada trafficatissima.
Secondo il pm Purgato, che ha chiesto al giudice per le indagini preliminari di archiviare le posizioni di Eugenio Roberto Cosentino, medico di guardia e di due infermieri, Giuseppe Smriglio e Raul Breveglieri, nel trattare questa vicenda bisogna considerare le “gravosissime condizioni di lavoro degli infermieri”. Nella ricostruzione del magistrato, che ha delegato le indagini al Nas di Bologna, la crisi economica ha “colpito tutti i settori, giungendo a conseguenze drammatiche in un campo come quello della sanità pubblica che invece, più che mai richiederebbe mezzi e personale”. Una vicenda che ha portato a un esito tragico “quasi certamente per effetto delle condizioni di lavoro” in cui due infermieri esperti erano costretti a lavorare. Nella ricostruzione del pm infatti la notte del 29 dicembre 2012 Smriglio e Breveglieri dovevano occuparsi di oltre 30 pazienti, quasi tutti in condizioni serie. Cosentino, il medico di guardia, era a disposizione di vari reparti, in “uno stressante e pericolosissimo gioco di equilibrismi”, che, secondo la ricostruzione del magistrato, in questo caso si è trasformato in tragedia.
A finire indagati per omicidio colposo erano stati soltanto i due infermieri e il medico di guardia. Tuttavia nel chiedere l’archiviazione il sostituto procuratore ha ricordato come i vertici della struttura ospedaliera sarebbero potuti finire anch’essi nell’indagine, se solo l’autopsia sul corpo di Bragaglia non avesse lasciato un dubbio: cioè che il decesso potesse essere avvenuto anche “pochissimo tempo dopo l’allontanamento”. Nonostante il medico legale collochi infatti con più probabilità la morte tra le prime ore del pomeriggio del 29 dicembre e il mattino del 31, quel “dubbio” sull’orario della morte, secondo il pm, “esclude in toto la possibilità di sostenere l’accusa”, perché non si può provare con certezza il nesso causale tra le ricerche dello scomparso condotte male e la sua morte.
Il pm tuttavia, anche se non manda nessuno a processo, stigmatizza l’operato dell’ospedale Sant’Orsola, soprattutto per quanto riguarda le ore, anzi i giorni successivi alla scomparsa. Subito infatti sarebbe emersa una “complessiva inefficienza della struttura, che in maniera quasi diabolica nella sua incredibilità ha fatto sì che nessuno cercasse il povero Bragaglia a pochi metri dalla porta dalla quale era uscito”. Infine rimane l’enigma della porta d’emergenza posta sul retro del reparto, che quando Bragaglia scappò via, non suonò. Perché? Il pm sembra non credere all’idea che gli infermieri la tenessero disattivata per potere uscire di nascosto a fare le compere: “Se così fosse, consapevoli di tale colpa, avrebbero di certo controllato la scala esterna una volta avvedutisi della scomparsa dell’anziano”. Ma se non furono loro a togliere l’allarme che avrebbe salvato la vita di Bragaglia, allora chi è stato? La famiglia dell’anziano, da tempo, è stata risarcita dalla struttura del Sant’Orsola con 900 mila euro.