Cinema

Quentin Tarantino, lettura live della sceneggiatura rubata di The Hateful Eight

La notte di Pasqua, nella magnifica quanto leggendaria sala del United Artists Theatre di Los Angeles ha messo in scena una lettura dello script con tanto di alcuni dei protagonisti “recitanti” ai quali il regista si è prestato in veste di presentatore e di voce narrante

di Anna Maria Pasetti

Diavolo di un Tarantino, che miglior sorpresa dall’Uovo di Pasqua non poteva escogitare per i suoi fan, perennemente insaziabili, specie dopo le recenti celebrazioni del ventennale del cult Pulp Fiction. L’avevamo lasciato a fine gennaio incazzato e “molto, molto depresso ” in seguito al complottato furto in Rete da parte di Gowker Media della sceneggiatura del suo nuovo progetto, il western The Hateful Eight, promesso sequel di Django Unchained. Il film sembrava destinato all’oblio, abortito nel nulla cosmico di un cocente tradimento della fiducia dei pochi possessori dello script.

Ma sia sa, la Pasqua è la festa della resurrezione, e a quanto pare anche l’irrequieto Quentin si è cristologicamente ripalesato con un gesto senza precedenti, per quanto a lui congeniale nell’istrionica platealità con cui l’ha dato in pasto al suo pubblico. Ebbene, la notte di Pasqua, nella magnifica quanto leggendaria sala del United Artists Theatre di Los Angeles ha messo in scena una lettura “live” di parte della sceneggiatura di The Hateful Eight, con tanto di alcuni dei protagonisti “recitanti” ai quali il regista si è prestato in veste di presentatore e di voce narrante. La sala stracolma, con almeno 1.200 spettatori pronti a farsi sorprendere dal folle e geniale cineasta, certi di aver ben speso i 150-200 dollari costati per l’acquisto del biglietto.

Fra “tarantiniani” e curiosi, diversi colleghi dello show biz e uno in particolare, l’affezionato Harvey Weinstein già distributore di parecchi suoi film. Anche Weinstein, come qualunque mortale ammesso alla Pasqua di Quentin, ha dovuto consegnare lo smartphone all’entrata del teatro: nessuna ripresa ammessa, e infatti dell’evento non esistono testimonianze audio/video né per lo streaming del presente, né per gli archivi del futuro. The one night show si è offerto così, in una serata che sa di mitico, temibilmente più unica che rara capitasse che The Hateful Eight dovesse entrare nell’elenco dei film mai realizzati, come il Cuore di tenebra di Orson Welles o il Napoleone di Stanley Kubrick.

Tarantino si è presentato on stage vestito da cowboy in nero, l’abito bordato di rosso come la bandana al collo. Seguono nell’ordine alcuni degli interpreti, parte della “sua” personalissima Hollywood: Samuel L Jackson (il cacciatore di taglie Marcus West, già ufficiale dell’esercito), Kurt Russell (un altro cacciatore di taglie, John Ruth detto Hangman), Tim Roth (un inglese), Michael Madsen (un misterioso uomo silenzioso), l’inossidabile Bruce Dern (un anziano generale della Confederazione) e anche Walton Goggins (il nuovo sceriffo di Red Rock), James Remar (un francese) e la brava Amber Tamblyn (la sboccatissima e razzista criminale “affidata” a Hangman).

Subito arriva la precisazione, “Si tratta di una prima versione della sceneggiatura, ce ne saranno una seconda e una terza”. Ma soprattutto sarà il quinto capitolo – cioè il finale – a essere completamente riscritto e dunque “caro pubblico, questa è l’unica volta che verrà letto” prima di essere distrutto

Non essendoci materiale video a cui rifarsi per la cronaca della serata, preziose diventano le agenzie e i reportage dei pochi giornalisti, presenti a cui non è sfuggita la vivacità narrativa di un Tarantino anche “vocalist” di pistole: “bam-bam-bam!”. È solo una lettura, non una pièce teatrale, tutto va letto/raccontato prima di essere dichiaratamente girato nel “pazzesco e spettacolare splendore dei 70 mm”, rivela Quentin.

Da quanto è parso ai fortunati testimoni della performance, The Hateful Eight riecheggia più Le Iene che non i film più recenti, benché di western si tratti, con chiari riferimenti ai I Magnifici Sette (1960) di John Sturges già remake de I Sette Samurai (1954) di Akira Kurosawa. Questo per le poche e claustrofobiche location, nonché per l’uso frequente di flashback. La scena si apre con i personaggi che scendono da una carovana e si rifugiano in una locanda. Basta poco a entrare nel “clima tarantiniano”: qualcuno avvelena il caffè, un paio passano a miglior vita e ben presto tra pistole sguainate e insulti nord-sudisti si cercano i colpevoli di un set alla Agatha Christie formato spaghetti western. Ma questo è già il finale, che mai vedremo perché l’ormai famoso “quinto capitolo” andrà cestinato e rifatto. E la sorpresa non è rovinata.

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