Il 22 aprile è cominciato l’iter parlamentare per la conversione in legge del decreto legge 34, più noto come Jobs Act. Il testo in esame è quello deliberato dalla Commissione Lavoro che, rispetto al testo originario, ha ridotto da 8 a 5 il numero massimo di proroghe del contratto a tempo determinato, sempre nell’arco di 36 mesi. Si tratta di un contentino all’opposizione interna del Pd, che nulla cambia nella sostanza, nonostante le vibranti proteste di Sacconi del Ncd, quel Sacconi, ex ministro del welfare, responsabile di precedenti precarizzazioni del lavoro sotto l’egida berlusconiana.
La sostanza non cambia, perché la possibilità di prorogare il contratto a tempo non è riferito alla persona ma alla mansione che la persona svolge. È sufficiente quindi modificare la mansione perché lo stesso individuo si veda prorogare il contratto a termine illimitatamente. Uno specchietto per allodole, insomma, sul quale la stampa pennivendola si guarda bene dal far chiarezza.
Il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan ha dichiarato alla stampa, in accordo con il suo collega Poletti (che di precarietà se ne intende, essendo stato sino a ieri il presidente di Lega Coop, anch’essa un’azienda precarizzatrice), che il Jobs Act aiuterà la crescita occupazionale. A vedere le immagini, che le televisioni hanno trasmesso a mo’ di rassicurazione per i traumatizzati lavoratori/trici italiane, si intuisce che tali dichiarazioni sono assai forzate e poco convinte. Padoan, da buon economista qual è, sa infatti che sta raccontando menzogne. E non è un caso che per blindare qualsiasi discussione, viene immediatamente posta la fiducia.
Il motivo è molto semplice. La precarietà non crea occupazione, anzi peggiora la situazione economica, riducendo la produttività del lavoro e la domanda aggregata, favorendo in tal modo la recessione economica e, conseguentemente, la crescita della disoccupazione, soprattutto quella giovanile.
Analizzando infatti i dati Isfol, gli avviamenti al lavoro stabile con contratto a tempo indeterminato sono passati dal 21,6% di inizio 2009 al 15,8% del IV trimestre 2013. Tra le tipologie precarie, quella che ha principalmente beneficiato è stato proprio il Contratto a Tempo Determinato (CTD), che il Jobs Act intende ulteriormente liberalizzare. Da inizio 2009 a fine 2013 la quota degli avviamenti CDT sul totale è passata dal 63,2% al 68,5% sul territorio nazionale. Se scomponiamo tale crescita a seconda della durata del CDT sempre i dati Isfol mostrano come i contratti della durata massima di un mese sono ben il 43,5% del totale con una tendenza crescente. In altre parole, assistiamo ad una ulteriore precarizzazione del maggior contratto precario utilizzato in Italia. Se questa è la situazione, che bisogno c’è di liberalizzare ulteriormente il CDT?
Ma non basta. I dati Eurostat, pubblicati nell’Empoyment Outlook Ocse 2013, mostrano che in Italia nella fascia giovanile 15-24 anni la quota di occupati precari sul totale è pari al 52,9% (più di 1 giovani su due è già oggi precario), un valore di poco superiore alla media dell’area Euro a 17 (51,3% ) e di poco inferiore al corrispondente dato per la Francia e la Germania.
Se però osserviamo non tanto lo stock ma i flussi dal 2009 al 2012 si può notare come l’Italia abbia manifestato il tasso di crescita più elevato, pari al 3,1% annuo, contro il -1,8% della Germania, il + 0,25% della Francia e + 0,8% della Spagna. Ciò significa che il processo di precarizzazione dei giovani occupati è stato quasi tre volte superiore a quello europeo. Nonostante ciò il tasso di disoccupazione giovanile non solo non è diminuito ma anzi è cresciuto, sino ad arrivare al massimo storico del 42,5%!
Queste brevi osservazioni ci confermano che non esiste un rapporto di correlazione positiva tra flessibilizzazione del mercato del lavoro e crescita occupazionale, soprattutto giovanile.
Piuttosto, nelle fasi recessive, è ravvisabile un rapporto di correlazione inversa: quando l’occupazione cala l’effetto è quello di aumentare la già esistente precarietà del lavoro, favorendo contratti ancor più precari e peggiorando le condizioni di vita e di reddito, oltre che di disoccupazione.
Tutto questo Padoan lo sa. Ci stanno dunque prendendo per i fondelli, con la complicità dell’informazione italiana, che non a caso si colloca al 57° posto nella classifica di attendibilità e di libertà di stampa, stilata da “Reporters sans frontières”.
Solo la denuncia e la mobilitazione potranno smascherare questo inganno.
A partire dalla MayDay del 1 maggio e dalla tre giorni di workshop e incontri che la seguiranno (2-4 maggio) a Milano.
www.euromayday.org