L'europarlamentare aveva definito l’ex sindaco di Ferrara Roberto Soffritti come una “persona poco limpida”, “con un background di tipo mafioso”, “che ha fatto fallire la Coopcostruttori”, e “condannato” in processi non meglio precisati. Peccato che l'ex primo cittadino non fosse nemmeno indagato. Il giudice ha respinto l’istanza difensiva, sostenendo che il parere del parlamento comunitario non vincola un giudice nazionale nell’applicazione del codice penale
Libertà di discutere su materie di interesse pubblico sì, ma non di offendere gratuitamente. Lara Comi sarà processata per diffamazione aggravata del tribunale di Ferrara. Il giudice Stefano Amore ha rigettato l’istanza della difesa che chiedeva di non perseguire l’eurodeputata di Forza Italia in nome dell’immunità parlamentare.
I fatti sono noti. Sono andati in onda in diretta tv. Nel corso della puntata “Impresentabili” di Servizio Pubblico del 24 gennaio 2013, in piena campagna elettorale, Comi aveva parlato dell’ex sindaco di Ferrara Roberto Soffritti (allora tesoriere nazionale Pdci candidato per la lista di Rivoluzione civile di Ingroia) come di un indagato che da sindaco avrebbe fatto affari con la criminalità organizzata. L’europarlamentare, 30enne con laurea specialistica sulla tesi ‘L’organizzazione di una società calcistica: il caso A.C. Milan’, lo aveva definito “persona poco limpida”, “con un background di tipo mafioso”, “che ha fatto fallire la Coopcostruttori”, “imputato per questi fatti” e “condannato” in processi non meglio precisati. Peccato che Soffritti non fosse nemmeno indagato. Fu così che diede mandato ai suoi legali per procedere per diffamazione aggravata in sede penale e per il risarcimento danni (750mila euro) in sede civile.
Tutto sembrava essersi stoppato il 15 gennaio scorso di fronte a una delibera dell’Europarlamento, favorevole al rapporto stilato dall’ambientalista austriaca Eva Lichtenberger. La collega della Comi, e così la plenaria, sosteneva l’immunità sulla base del “principio sotteso all’immunità parlamentare (…)” che “è la libertà dei membri di discutere su materie di interesse pubblico senza essere obbligati a modellare le loro opinioni in modo da renderle accettabili o inoffensive per chi le ascolta, senza temere, in caso contrario, di essere citato in giudizio”.
La franchigia di Bruxelles si è fermata però in un’aula del Palazzo di Giustizia estense. Il giudice ha respinto l’istanza difensiva, sostenendo che il parere del parlamento comunitario non vincola un giudice nazionale nell’applicazione del codice penale. “Il giudizio del tribunale è stato quello che auspicavamo – afferma l’avvocato Alessandro D’Agostino, codifensore assieme ad Alberto Bova – e che ci si aspettava. D’altronde è un concetto sostenuto da un orientamento della Corte europea e anche la giurisprudenza costituzionale italiana prevede l’immunità solo nei casi in cui il parlamentare operi nell’esercizio delle proprie funzioni. E la comparsa in un programma televisivo per fare campagna elettorale a nostro avviso non lo è”. A novembre il processo per diffamazione aggravata entrerà nel vivo.