Nel decreto che chiede l'archiviazione per la banca (indagata per responsabilità oggettiva) i magistrati parlano di "modus operandi asservito al soddisfacimento di interessi distonici da quelli dell’ente". I testimoni: "A Rocca Salimbeni minacce e intimidazioni" contro chi sollevava obiezioni su operazioni finanziarie rischiose
Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, rispettivamente ex presidente ed ex direttore generale di banca Monte dei Paschi di Siena, decisero l’acquisizione di Antonveneta per soddisfare interessi della politica. A dirlo sono i pm titolari dell’inchiesta su Mps, nel decreto (depositato l’11 aprile) che chiede l’archiviazione per l’istituto, inizialmente indagato in base alla legge 231 sulla responsabilità oggettiva dell’azienda per reati degli amministratori. Gli ex vertici di Mps, scrivono Giuseppe Grosso, Aldo Natalini e Antonino Nastasi, avevano “un modus operandi autoreferenziale, verticistico ed asservito al soddisfacimento di interessi in generale distonici da quelli dell’ente“. E proprio a questi “interessi e sollecitazioni esterne alla banca, e ascrivibili in prima battuta al panorama politico locale e nazionale“, avrebbero risposto anche quando venne decisa l’acquisizione di Antonveneta da Santander. Non solo: secondo i magistrati, “attraverso condotte fraudolente, ovvero mentendo all’autorità circa il fatto che la Banca fosse in grado di sostenere le misure patrimoniali necessarie all’acquisto di Bav (Banca Antonveneta)”, gli allora vertici della banca senese avevano dato ad intendere che Mps potesse sostenerne l’acquisto. “La banca, in realtà, non stava bene e non era in grado di affrontare l’operazione”, si legge nel decreto, dove, ancora una volta, i pm ribadiscono che il Fresh da 1 miliardo di euro era in realtà un prestito che “avrebbe solo aggravato la situazione debitoria” di Mps. Secondo i magistrati le conclusioni sono “incontrovertibili”, anche se non definitive perché ci sono indagini ancora in corso.
L’inchiesta sull’acquisizione di Antonveneta era stata chiusa il 31 luglio 2013 con la richiesta di rinvio a giudizio per otto persone (oltre alla banca d’affari Jp Morgan): Mussari, Vigni, Daniele Prondini, Raffaele Giovanni Rizzi, Tommaso Di Tanno, Piero Fabretti, Leonardo Pizzichi e Michele Crisostomo. Le accuse, a vario titolo, sono di manipolazione del mercato, ostacolo all’Autorità di Vigilanza, false comunicazioni sociali. Mussari è accusato anche di insider trading. La nuova udienza davanti al gup Monica Gaggelli, è stata fissata per il 6 maggio.
Oggi, al tribunale di Siena, si è svolta anche una nuova udienza del processo per la ristrutturazione del derivato Alexandria, nel quale sono accusati di ostacolo all’autorità di vigilanza (avrebbero nascosto l’accordo stipulato da Mps con i giapponesi di Nomura) l’ex presidente Mussari, Vigni e l’ex responsabile dell’area finanza Gianluca Baldassarri. Due i testimoni sentiti: Flavio Borghese, uno dei trader dell’area finanza di Mps, e Giovanni Conti, all’epoca capo dell’area Risk management della banca. Dalle loro testimonianze è emerso il clima pesante che si viveva a Rocca Salimbeni, fatto anche di “minacce”, di persone sollevate improvvisamente dal proprio incarico, di “muri di gomma”. “In banca si può vivere molte bene o molto male e tu ti stai avviando a vivere molto male“: così si sarebbe rivolto Baldassarri a Borghese, ha raccontato quest’ultimo. Entrambi hanno raccontato di aver cercato di evidenziare le criticità dell’operazione con Nomura, e Conti anche quelle derivanti da una gestione dell’area finanza che lui aveva contestato fin dal 2006. “Nel dicembre 2006 mandai una lettera all’audit dicendo che le prassi operative della finanza erano tali che se non vi si fosse posto rimedio – ha spiegato Conti – la voragine nel portafoglio finanziario della banca sarebbe stata incalcolabile”. Sempre Conti ha spiegato di aver contrastato, a tutti i livelli (“ma mi trovavo davanti un muro di gomma”), l’operazione con Nomura. Fino a quando dalla direzione generale fu chiesto, a lui e all’allora capo della finanza Marco Morelli, di avallare l’operazione con i giapponesi: “Entrambi ci rifiutammo”. Tante le opposizioni dei difensori dei tre imputati, in particolare nei confronti di Borghese al quale i legali hanno contestato di non essere stato “sollevato” dall’incarico di seguire Nomura, come lui aveva detto, e anzi di aver ricevuto, il 30 luglio, la mail con il “mandate agreement” (l’accordo). La prossima udienza è stata fissata per il 23 maggio.