Dal 1945 in poi ogni generazione ha riempito di significati nuovi il 25 aprile. Perché è vitale ricordare che i nostri padri liberarono se stessi, e quindi noi, dal fascismo (oltre che dall’occupazione nazista): ma nel padrenostro laico che, dalla Costituzione in poi, scandisce le nostre giornate sono i figli – siamo noi – a doverci liberare dal male. Da soli.

Ma qual è il male, all’altezza del 25 aprile 2014? Naturalmente, e come in ogni momento della storia umana, ce ne sono moltissimi. Tuttavia, se dovessi dire a quale Resistenza è chiamata la mia generazione, non avrei alcun dubbio: a quella che si oppone al totalitarismo del mercato. Come ha scritto Massimo Recalcati, dialogando con Christian Raimo: «Nei regimi totalitari di ieri dominava la causa ideale, la Causa con la C maiuscola; oggi che cosa domina?…La potenza inumana dell’oggetto del godimento pulsionale: il denaro, il potere come strumento di affermazione personale, gli oggetti, il pullulare degli oggetti-gadget che il discorso del capitalista promette e immette in modo illimitato sul mercato».

Oggi, direbbe il filosofo della politica Michael J. Sandel, il fronte di resistenza è quello in cui si decide se oltre ad avere un’economia di mercato – ciò che nessuno sembra avere la minima intenzione di mettere in dubbio – siamo anche rassegnati ad essere una società di mercato: cioè una società dove tutto – ma proprio tutto, niente escluso – si misura col metro del denaro. Una società in cui tutto ha un prezzo, e si può vendere e comprare. Una società in cui il declino dell’uomo pubblico analizzato da Richard Sennet è giunto al termine: e dunque una società formata dalla somma di tanti vissuti privati ridotti alla mera dimensione economica. Una società in cui parole come democrazia o politica non hanno più alcun senso.

Molti segnali dicono che ci siamo dentro fino al collo. Un documento della finanziaria JP Morgan (tra i primi responsabili della crisi criminale che ha travolto l’economia occidentale) reso pubblico il 28 maggio 2013 sostiene che «le Costituzioni dei Paesi della periferia meridionale mostrano una forte influenza socialista, riflesso della forza politica delle sinistre dopo la sconfitta del fascismo», e che perciò vanno cambiate. Lo stesso testo addita l’Italia come scenario del «test essenziale di questo cambiamento». Ebbene in un articolo del 1° aprile 2014 di Marzio Breda (il ‘quirinalista’ de il Corriere della sera da molti ritenuto una sorta di ufficioso portavoce della Presidenza della Repubblica) si difende la necessità delle riforme costituzionali in senso anti-rappresentativo dicendo esplicitamente che «basterebbe rileggersi il rapporto stilato dalla JP Morgan il 28 maggio 2013 là dove indica nella “debolezza dei governi rispetto ai Parlamenti” e nelle “proteste contro ogni cambiamento” alcuni vizi congeniti del sistema politico italiano», per concludere: «Ecco una sfida decisiva del Governo Renzi».

E uno si chiede, ma in questo 25 aprile del 2014 è ancora possibile distinguere tra chi attenta alla Costituzione, confessando di farlo in nome del dio mercato, da coloro che mettono corone di fiori ai monumenti ai caduti per la Liberazione avendo giurato di difendere i frutti democratici di quella liberazione? Dov’è la Repubblica?

Se questo è il contesto, come è possibile stupirsi se il paesaggio e il patrimonio culturale (il lembo di democrazia che io personalmente mi sento chiamato a difendere in modo particolare) sono un costante bersaglio dei governi di destra, tecnici e di (pseudo) sinistra?

Ho la fortuna di scrivere queste righe mentre mi trovo nella meravigliosa Riserva Naturale dello Zingaro, sulla costa nord-occidentale della Sicilia. Questa riserva nacque dopo una dura lotta ambientalista, culminata in una famosa marcia del 18 maggio 1980 che si opponeva allo sventramento dell’ultima area incontaminata dell’isola. Quella sollevazione popolare impedì che si realizzasse una strada litoranea che avrebbe comportato numerosi insediamenti turistici, e cioè l’ennesima pioggia di cemento. Oggi moltissimi – e Matteo Renzi in testa – direbbero che si è trattato di un intollerabile intralcio allo sviluppo economico. In questi giorni ho visto parcheggiate fuori dai cancelli della riserva moltissime modeste utilitarie di famiglie trapanesi e palermitane. E un membro di una di queste mi ha detto che poter entrare da cittadini in un luogo così spettacolare, sentire di possedere qualcosa di straordinario e di essere almeno attraverso ciò – anzi, ormai solo in ciò – eguale al sempre più ristretto cerchio di coloro che dominano la nostra vita economica e politica: ebbene, che tutto questo è importante quanto il mare incontaminato e la natura selvaggia e spettacolare che qui è possibile conoscere.

Ed è proprio questo ciò che è così difficile far comprendere a tutti coloro che associano il patrimonio culturale e il paesaggio al lusso, e che ne auspicano la messa a reddito, pontificando sul petrolio d’Italia. Il punto non è (solo) tutelare quelle ‘cose’: il punto è tutelare la funzione civile, immateriale, costituzionale di uno dei pochi polmoni di libertà dalla tirannia del mercato che assedia le nostre esistenze. In gioco non ci sono l’arte o la natura, prima e insieme ad esse ad essere in gioco è la democrazia stessa, o ciò che ne rimane.

Oggi la linea della resistenza passa attraverso il paesaggio, i musei, le piazze storiche d’Italia. L’invasore che una mattina abbiamo trovato è il totalitarismo del mercato. Le armi di cui abbiamo bisogno si chiamano conoscenza, educazione, formazione.

Buon 25 aprile, buona Resistenza, buona Liberazione.

 

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