Cultura

25 aprile, il partigiano e regista Giulio Questi racconta la Resistenza

Partigiano, regista di culto (citato da Quentin Tarantino) e infine scrittore. L'artista novantenne racconta quella che è stata l’esperienza totalizzante della Resistenza sulle montagne lombarde in Uomini e Comandanti, uscito in questi giorni nelle librerie italiane per Einaudi

di Davide Turrini

Partigiano, regista di culto e infine scrittore. La parabola di Giulio Questi, 90 anni, bergamasco, deve ancora conoscere la curva verso il basso. Per ora, lassù, all’apice del racconto di quella che è stata l’esperienza totalizzante della Resistenza sulle montagne lombarde, che ogni volta prende una forma e un linguaggio diversi, c’è Uomini e Comandanti, uscito in questi giorni nelle librerie italiane per Einaudi. Una raccolta di quindici racconti che Questi aveva lentamente centellinato frammento dopo frammento ad Angelo Bendotti, presidente dell’Istituto Bergamasco per la Storia della Resistenza. Tra le righe si scorge una lotta armata demitizzata, fatta di echi avventurosi e grotteschi, impellenze alimentari e sessuali, talvolta ironica come nel primo racconto – Il roccolo – dove il Questi partigiano, in missione per consegnare un ordine di fucilazione di spie da recapitare ad una lontana brigata allo sbando, non segue la storia, quella ufficiale della lotta e delle idealità, ma anzi la trasfigura nella materialità della fame e del sonno, nella ricerca di un riparo e nel sogno, tra uccelli uccisi a mani nude dai contadini e una chiosa dissacrante: “Era un ordine di fucilazione. Tre ragazzi vennero disarmati e messi al muro. Intervenni di slancio, con una domanda di grazia. Venni messo al muro anch’io. Ritirai subito la domanda. Potei farmi da parte”.

Questi parla poco, ma le pagine del libro parlano già da sé, come del resto parlava di Resistenza Se sei vivo spara (1967) lo spaghetti western, cult estremo e censurato, amato da Quentin Tarantino e citato in Kill Bill 2 con la sequenza della resurrezione dalla tomba di Uma Thurman: “Ci sono molto affezionato. Lì ho raccontato la Resistenza come l’ho vissuta. I banditi di Sorrow sono vestiti di nero perché sono fascisti. Gli indiani e gli altri poveracci sono i partigiani”. Solo genesi e circuitazione del film occuperebbero pagine di aneddotica: aiuto regia Gianni Amelio, set improvvisato in un cantiere alla periferia di Madrid sotto il regime di Franco, censura che ne fa tagliare le scene più cruente. Già perché Questi dopo la Resistenza, fatta tutta in prima linea, tra arresti e rappresaglie fasciste, si dedica al cinema. Scappa a Roma, diventa aiuto di Rosi e Zurlini, interpreta il principe Mascalchi ne La Dolce vita di Fellini, poi la regia della cosiddetta trilogia, scritta in coppia con il partigiano Franco Arcalli: Se sei vivo spara, La morte ha fatto l’uovo (1968) e Arcana (1972). Pellicole spesso introvabili nella loro versione originale: “Mi è anche capitato un fatto pesante di censura in uno strano film che facemmo nei primi anni sessanta, Nudo per Vivere. L’argomento era i locali notturni di Parigi. Il produttore era il suocero di Elio Petri, ne parlai con Elio e con Giuliano Montaldo vista l’amicizia che in quel periodo ci legava e decidemmo di farlo noi tre firmandolo Elio Montesti, fondendo i nostri tre nomi”. Il film esce, ma il produttore finisce sotto processo per ragioni di moralità e c’è il fermo giudiziario: “Il suocero di Petri chiamò a testimoniare della sua moralità anche Fellini, ma venne condannato a due mesi e il negativo fu distrutto”.

Del resto l’autore di Uomini e comandanti al cinema italiano di oggi le canta chiare: “Lo trovo raramente interessante. È fatto tutto di filmetti e mai da qualche maledetta idea, un qualche film che esplode, provoca. I film sui rapporti sentimentali sostituiscono la letteratura. Preferisco allora leggere un libro”. Così il racconto della guerra partigiana che si è composto senza forzature a 70 anni di distanza, dopo la fallita trasposizione cinematografica di Una questione privata di Beppe Fenoglio – con cui Questi si accordò ad Alba nel 1960 – e l’incontro in Colombia negli anni ’70 con il recentemente scomparso Gabriel Garcia Marquez, fa riemergere i rivoli di una memoria storica nascosta, dissacratoria rispetto agli avvenimenti vissuti, come nella copertina del libro che ritrae alcuni partigiani su un camion che solleva polvere dappertutto: “Mi è piaciuto da subito quel camion, così equivoco nella sua missione e persino nella sua identità. Il fantasma di una guerra lontana nel tempo. Nessun reduce, solo fantasmi nella polvere di una strada di montagna”.

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