Chi se ne frega di Forza Italia. Silvio Berlusconi si è messo di buona lena a smontare pezzo per pezzo il patto del Nazareno nella sua prima uscita da campagna elettorale. Ma così come il presidente del Consiglio Matteo Renzi anche il resto del governo non sembra curarsi delle parole del Cavaliere sul Senato e sull’Italicum. A partire dal ministro per le Riforme Maria Elena Boschi e dal ministro dell’Interno e leader del Nuovo Centrodestra Angelino Alfano che assicurano che le riforme si possono fare anche senza Forza Italia e che comunque Berlusconi fa così solo per raccogliere un po’ di voti. Certo, si dimenticano però che la riforma del Senato è tutt’altro che amata nel gruppo forzista a Palazzo Madama e soprattutto che il disegno di legge di Vannino Chiti (sostenuto da una ventina di senatori Pd, dal Movimento Cinque Stelle, da Sel e chissà chi altro) è lì e non lo toglie nessuno. 

Il Pd dunque ostenta sicurezza e la ostenta talmente tanto che viene qualche dubbio: la Boschi ha parlato in un’intervista al Tg5, mentre i vicesegretari Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani hanno parlato rispettivamente al Tg1 e al Tg3. Comunque il messaggio è univoco: l‘auspicio è che il tavolo del Nazareno non salti ma il governo sulle riforme andrà avanti, anche senza Forza Italia. E questa rassicurazione sarà data dal capo del governo domani (26 aprile) al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nell’incontro che avverrà verosimilmente nel pomeriggio. Il tutto alla vigilia del rush finale per l’approvazione del testo base in commissione al Senato, prevista entro mercoledì. “Noi non temiamo eventuali elezioni – dice la Serracchiani – Siamo pronti ma mi chiedo a chi conviene andare a votare con un sistema, l’Italicum, che potrebbe rimescolare le carte”, attacca Serracchiani, facendo capire agli azzurri che ad aver paura del ritorno alle urne non deve essere certo il Pd. Anzi, con l’Italicum e con i sondaggi che girano Forza Italia avrebbe speranze ridotte al lumicino di raggiungere anche solo il ballottaggio. 

E, forse anche per questo, il governo oggi avverte l’ex presidente del Consiglio, che lunedì inizierà la sua pena da condannato: su riforma del Senato e Italicum l’impegno, anche di fronte agli italiani, è ottenere un testo più condiviso possibile ma se lo strappo dell’accordo del Nazareno dovesse concretizzarsi i numeri per proseguire non mancheranno. Anche perché, puntualizza Boschi, il dissenso all’interno del Pd è “molto limitato” e ricucibile: “il blocco centrale” della riforma “è ampiamente condiviso”. E a dare un’ulteriore sponda a Renzi è il suo alleato di governo Alfano, che assicura come, anche senza Fi, i numeri ci siano e Ncd non si tirerà indietro. Ma ciao alle riforme “condivise”.

L’impressione, tuttavia, è che la tensione non si allenterà da qui fino al 25 maggio. Con Forza Italia che oggi rientra solo parzialmente dall’affondo di ieri del suo leader. “Nessuno osi pensare che Forza Italia non rispetta i patti. Chi non li ha rispettati fino ad oggi è il Pd” replica Giovanni Toti. I toni, insomma, restano alti, con una commissione Affari Costituzionali chiamata ad approvare un testo base entro mercoledì e che deve discutere 51 proposte più quella del governo con la stragrande maggioranza che, in modi diversi, prevede un Senato elettivo, elemento sul quale Renzi non vuole arretrare. Ma un punto di equilibrio andrà trovato: di questo il premier parlerà domani con il Capo dello Stato, e, martedì nella riunione con i senatori Pd. Al di là dell’ombra delle Europee la gestazione di un testo condiviso resta quindi in salita. E forse anche per questo Boschi frena sulla data X indicata da Renzi per l’approvazione in prima lettura in Aula: il 25 maggio? “Con una o due settimane in più non sarà un dramma”.

E Renzi? Dopo aver visto ieri la presidente della commissione Anna Finocchiaro, domani salirà al Quirinale. Il primo obiettivo del presidente del Consiglio è mettere in sicurezza il Senato delle Autonomie dentro il Pd. Con una full immersion di incontri a partire da lunedì, quando Renzi vedrà sia Finocchiaro sia il capogruppo Luigi Zanda per poi affrontare personalmente i senatori e capire se ci può essere una mediazione in vista della presentazione mercoledì del testo base in commissione. “C’è chi vuole solo visibilità ma dialoghiamo per capire se alcune proposte possano essere accolte senza stravolgere la riforma”, è la linea che il premier dà ai suoi. Se, quindi, è considerato irricevibile il ddl Chiti, un punto di caduta, che viene incontro sia alla minoranza sia a Ncd, potrebbe essere, a quanto si apprende, la proposta del lettiano Francesco Russo che chiede di individuare i futuri senatori contestualmente ai consiglieri regionali all’interno dei consigli regionali. Ipotesi simile al Bundesrat tedesco su cui si è esposto anche Berlusconi nella sua sparata a Porta a Porta. In parallelo si lavora su Forza Italia. E la strategia del governo unisce la minaccia alla mano tesa. “Sulle riforme possiamo andare avanti da soli, sta a Berlusconi decidere”, è un’ipotesi anche se Renzi vorrebbe tenere fede all’impegno di non fare riforme a maggioranza. Più che una minaccia, è invece una soluzione, sia per risolvere le divisioni interne sia in chiave esterna, quella indicata da alcuni renziani di far calare il sipario e andare alle elezioni. 

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