Dalla Prenestina, uscendo da Roma, prima di incrociare viale Palmiro Togliatti, non troppo lontano dalla strada, si vedono ancora le gru. Intente alla realizzazione dell’ultimo edificio. Lo scheletro in cemento armato è quasi terminato. Nell’isolato delimitato da via Giovanni Battista Valente da un lato, via Guido Lay e via Camillo Prampolini dall’altro, i blocchi costruiti sono quasi tutti pronti. Via Filippo Cremonesi li attraversa, consentendo di farsi un’idea di come in questo nuovo quartiere, nel quale si alternano architetture di qualità e tutt’altro che standardizzate ad altre, si sia proceduto a nuove urbanizzazioni.
Ci sono i servizi, qui. L’Istituto comprensivo “Giovan Battista Valente” costituisce un punto di riferimento non solo per questo nuovo coagulo urbano, ma per l’intero quadrante del V municipio. Gli ipermercati sono addirittura due, uno affacciato sulla Prenestina, l’altro sulla Collatina. C’è anche un grande hotel. Le strade, nuove ma già bisognose di manutenzione, sono costeggiate da diversi parcheggi. Per le informazioni sugli appartamenti ci sono gli addetti delle società costruttrici nei due prefabbricati ben visibili alle estremità del complesso. In alternativa si può navigare in rete, trovando i siti online di romaimmobiliare.it e di intermediagruppocaltagirone.it, nei quali si pubblicizzano le magnificenze del sito, denominato Parco Prampolini.
Perché il cuore di questa nuova densificazione romana, all’interno del GRA, a ridosso di grandi assi di scorrimento, è proprio il verde. Un rettangolo molto esteso, nel quale prima della scorsa estate è stata realizzata una vera e propria opera di bonifica, resa necessaria dal lungo abbandono. La vegetazione infestante aveva reso quasi impraticabile l’area nella quale in passato esisteva anche un frutteto. Così è stata recintata, con l’idea di regolarne l’accesso, come avviene per le ville. All’interno, creati dei percorsi glareati, perimetrati da un impianto di illuminazione notturna. Il vecchio casale a due piani, restaurato.
Non è tutto. Nonostante decenni di incuria e degrado, si conservano parti cospicue di strutture romane. Imponenti. Nella fase d’impianto in opera laterizia. Una, quella che è stata consolidata, con un piano interrato, scavato e ricoperto. Le altre due, ravvicinate, con maggiori rimaneggiamenti, anche in età abbastanza recente. In particolare l’alto sepolcro a pianta rettangolare, utilizzato come piccionaia. Al quale è stata accostata una struttura in muratura utilizzata per il ricovero degli animali domestici. Il rifacimento di una copertura sulla tomba indizia l’intenzione non solo di assicurane la conservazione ma anche, forse un suo riutilizzo.
Manca ancora qualsiasi genere di pannelli illustrativi. S’intuisce l’intenzione da parte della Soprintendenza archeologica di Roma e del Municipio di fare dell’area un luogo nel quale ambiente naturale e archeologia si incontrino. In maniera armonica. Per ora ci sono soltanto le buone intenzioni. Un’idea forse di spazio di aggregazione. Il Parco continua a rimanere chiuso in attesa che il servizio giardini prenda in carico il sito. Ne assicuri la cura e la manutenzione. Il casale che dovrebbe ospitare almeno al piano terra degli uffici della Soprintendenza archeologica di Roma, per alcune settimane è stato occupato abusivamente. Nei parcheggi intorno, che dovrebbero ospitare le auto degli abitanti dei nuovi palazzi, soprattutto la notte, imperversano le prostitute. Insomma la zona “immersa nel verde” è nata per offrire servizi e opportunità, sembra riproporre le criticità di tante altre zone di Roma. Come quella avere come cifra distintiva un forte degrado ambientale.
L’archeologia che potrebbe costituire l’elemento qualificante e distintivo dell’area verde rischia di continuare ad essere una potenzialità inespressa. Una presenza “forte” in un paesaggio profondamente rimodellato dall’urbanizzazione. Sembra possibile che si ripeta quel che è accaduto ad altri nuovi insediamenti romani, dei quali gli spazi verdi avrebbero dovuto costituire il fulcro. Le testimonianze archeologiche al loro interno una presenza da valorizzare. Alla Bufalotta, il Parco delle Sabine avrebbe dovuto ospitare un’area archeologica che le indagini preventive avevano evidenziato. Il progetto lì è rimasto irrealizzato, le strutture riferite ad una necropoli stratificata, sotterrate di nuovo. Al Parco Prampolini l’esito non potrà essere simile. I resti laterizi rimarranno in vista. Ma il rischio è che anche all’interno di questo spazio verde l’archeologia, senza la necessaria valorizzazione, scompaia. Ci sono ancora i margini perché ciò non accada. Fortunatamente.