Aveva ragione Andreotti, il potere logora chi non ce l’ha. E Il potere di Electro conferma: un villain depotenziato fa male a sé, all’eroe e al film tutto. Parliamo del nuovo capitolo dell’Amazing saga dell’Uomo Ragno, ancora diretto da Marc Webb, ancora interpretato da Andrew Garfield uno e bino. Il povero Peter Parker deve infilarsi la tuta hi-tech, tenere a bada i criminali e, insieme, la cattiva stampa, ma sa Dio – e sappiamo noi – quanto vorrebbe una vita da ragazzo normale, complice gli occhioni della bella Gwen Stacy (Emma Stone, anche lei al bis). Eppure, a grandi poteri corrispondono grandi responsabilità e grandi sacrifici: il neodiplomato Peter deve staccarsi da Gwen, suo malgrado.
E pure nostro: la storia d’amore funziona, rimaniamo appesi alle loro labbra pudiche, al loro sogno di normalità, al loro inventarsi un futuro (fuga di cervelli compresa) e alla loro maledizione. È qui che buon romantico non mente: Marc Webb incantò con (500) giorni insieme cinque anni fa, dando nuova linfa ai due cuori e una capanna smarmellati da Hollywood e facendosi notare dalla Marvel. Indossata la supereroi-ca calzamaglia di Spider-Man, non dimentica dove è nato, e nel blockbuster action e fumettaro inserisce i frammenti di un discorso amoroso, quello di Peter e Gwen, quello di un amour fou senza scene madri, senza mèlo, ma con verità pop.
E fedeltà ai comics di Stan Lee e Steve Ditko, già filtrati dagli sceneggiatori di Transformers Alex Kurtzman e Roberto Orci (più Jeff Pinkner): non solo nell’affair, non solo nel passato familiare di Peter che non passa, la filologia è avvertibile nella tensione ipercinetica, nei volteggi e nelle soggettive in caduta libera dell’Uomo Ragno. Se comics manent, cinecomics volant e il 3D aiuta, come già nel primo Amazing Spider-Man: Webb e sodali non lo utilizzano per mero gusto funambolico e pirotecnico, bensì per farci sentire l’esperienza del Ragno, per sbatterci in poltroncina l’horror vacui e la temerarietà scopica delle sue imprese. Fin qui tutto bene, ma i guai iniziano con i cattivi: il futuro Rhino (Paul Giamatti), l’ex amico Harry Osborn (Dane DeHaan, ci si attendeva di meglio, è leggerino) che da presidente della OsCorp diverrà Green Goblin e, appunto, Electro (Jamie Foxx), all’anagrafe civile il nerd Max Dillon, tutto lavoro, gel, calvizie e qualche fantasia di troppo su Spider-Man, alias il suo amico immaginario. Accettando il ruolo, Foxx aveva incassato il plauso della figlioletta: “Oh, papà, le prenderai. Lo sai, vero?”. Problema, Electro non le prende abbastanza, soprattutto, non le dà abbastanza: anche dopo la trasformazione, rimane un fan dell’Uomo Ragno, si sente in soggezione e riduce ai minimi termini l’opposizione all’eroe.
Prevedibili le ricadute su drammaturgia (il modello attanziale di Greimas dovrebbe insegnare ancora qualcosa …), azione e pathos, e pure regista e sceneggiatori devono essersene accorti: ok la fedeltà alle strisce, ma è il cattivo a fare buono l’eroe o no? Altro problema, nemmeno Harry aiuta, perché la rottura con Peter/Spider-Man viene liquidata in una scenetta e la vendetta è solo un antipasto freddo: per fare un parallelo, decisamente meglio, più intenso e coinvolgente, il passo a due tra Captain America e Winter Soldier nella penultima sortita Marvel al cinema. Già, questo secondo Amazing ha un problema di chimica tra il Ragno e le sue “nuove” nemesi, e con i Sinistri Sei nell’immediato futuro della saga – più un tot di spin-off – non è davvero una buona notizia. Webb dirigerà il terzo capitolo con Venom per antagonista, poi basta, e per la Columbia si annunciano tempi grami: senza il romance di Mr. (500) giorni insieme, che ne sarebbe di questo Uomo Ragno, che ne sarà dei prossimi? Per iniziare, perché non ricaricare le batterie di Electro?
il Fatto Quotidiano 24 aprile 2014
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