Imprese e padroncini ce l’hanno fatta anche questa volta. La guerra sotterranea che da settimane li contrapponeva ai tecnici del ministero dell’Economia alla ricerca delle coperture per gli 80 euro in busta paga, l’hanno vinta loro. Nessun taglio ai sussidi, dopo la limatura degli anni recenti che ha portato i trasferimenti dai 447 milioni di euro del 2011 ai 330 di quest’anno. Briciole rispetto agli 850 milioni che lo Stato non incassa per rimborsare le accise sui carburanti a centinaia di migliaia di camionisti. Bastava toccarle per compiere il miracolo di compattare una categoria da sempre divisa. L’intervento – previsto anche dalla spending review di Carlo Cottarelli – era atteso. Per giorni, i tecnici del ministero hanno fatto trapelare sui giornali un taglio corposo. Che all’ultimo è sparito dalle bozze di Palazzo Chigi. Il fermo dei tir avrebbe rovinato il regalo elettorale del premier, mettendogli contro una platea che vale più di un milione e mezzo di voti, storicamente legati al centrodestra. La lobby ha fatto il resto.
In molti ci hanno provato. L’ultimo in ordine di tempo è stato Enrico Letta, ma il tentativo è stato sventato da un accordo in extremis che ha garantito i grossi autotrasportatori, lasciando il campo ai soli forconi. Un copione già visto. La lobby dei camionisti porta sempre a casa il risultato, ma si muove in ordine sparso, grandi contro piccoli. Stessi numeri, ma peso spostato a favore dei primi, che possono schierare nomi del calibro di Fabrizio Palenzona e Paolo Uggè. Il primo, tra i tanti incarichi ha quello di lobbista delle concessionarie autostradali, ma al tempo stesso presiede il cda di Fai service, consorzio di servizio di Conftrasporto (l’associazione degli autotrasportatori di Confcommercio), a sua volta guidata dal secondo, al quale lo lega una storica amicizia. Uggè è ai vertici del più grande sindacato degli autotrasportatori da oltre 30 anni, e per diverso tempo, senza imbarazzo, è stato anche dall’altra parte: sottosegretario ai Trasporti nel secondo e nel terzo governo Berlusconi. Sono anni in cui regna la quiete nel burrascoso comparto. L’unico incidente di percorso avviene nel 2005 con lo sciopero delle bisarche, con l’Uggè di governo che tuona contro gli “irresponsabili” che non rispettano gli accordi. Nel 2006, finita l’avventura governativa – “chiamato alle armi” da amici e colleghi – torna a fare il sindacalista (oltreché il deputato di Forza Italia fino al 2008). E stranamente il settore si rianima. Già a dicembre 2007 (governo Prodi) un blocco dei tir paralizza l’Italia. Osservando la serie storica delle proteste, sembra quasi che la presenza di Uggè al governo sia l’unico modo per evitarle. Da sottosegretario è riuscito nell’impresa di far digerire alla categoria l’abolizione delle tariffe dell’autotrasporto. Nel gennaio scorso, ormai “solo” sindacalista, l’operazione gli è riuscita anche con l’aumento dei pedaggi autostradali incassato dall’amico Palenzona. Nessun fermo, eppure i camionisti sono i più penalizzati dalla misura. Solo alcune sigle hanno protestato contro Uggè, chiedendo la restituzione degli aumenti “attraverso il Telepass direttamente in fattura”. Tradotto, non si sono rivolti al governo, ma hanno chiesto i soldi direttamente a Palenzona. Il 90% del traffico merci viaggia su gomma. Negli anni il comparto ha ricevuto soldi a pioggia, spesso senza controlli, come i 10 milioni annui per la formazione professionale o l’ecobonus (ora abolito) per chi sceglie la nave. “Si era al paradosso di tir che viaggiavano vuoti solo per prendere il bonus”, spiega un sindacalista. A questi si sommano altre misure, dai 90 milioni delle riduzioni sui premi Inail agli sconti Irpef per le piccole imprese. In cambio, il settore, già molto in sofferenza ogni anno versa all’Erario quasi 10 miliardi di tasse. Negli ultimi mesi un ulteriore taglio ha limato gli stanziamenti, scatenando le proteste di Uggè, ma non dei piccoli. Il motivo è semplice: i 330 milioni arrivano soprattutto dai rimborsi per i pedaggi (in media, 565 euro annui a veicolo). Soldi che passano attraverso i consorzi delle associazioni di categoria, che trattengono una commissione. “Un sussidio al sindacato”, spiegano i padroncini, che invece considerano intoccabili gli sconti Inail. La lotta è tra piccole e grandi imprese. Queste ultime sono raggruppate in Conftrasporto, Confartigianato e Anita (Confindustria). Il settore conta 150 mila aziende, 13 associazioni iscritte all’Albo nazionale. A eccezione di Trasporto unito però, i “piccoli” (Aitras, Assiotrat, Assotrasporti, Movimento Autonomo Autotrasportatori) sono fuori. Lo scontro è soprattutto sul subappalto: 43 mila aziende non possiedono veicoli propri e si limitano alla pura intermediazione.
I padroncini chiedono più controlli sulla concorrenza spietata delle ditte dell’Est (3600 aziende), soprattutto bulgare e rumene, con stipendi che arrivano a un terzo di quelli italiani. “Le aziende chiudono da noi per aprire finte sedi nell’Est”, spiegano: “O ti applicano contratti rumeni e ti versano in nero il resto o prendono direttamente un autista rumeno, senza rinunciare ai sussidi”. Decine di agenzie interinali aiutano a “traslocare”, e si conta addirittura una sigla sindacale italiana in Romania: Unitai (Conftrasporto). Dietro le dispute pubbliche, una strana identità di vedute si è invece registrata con le Ferrovie dello Stato sul trasporto merci ferroviario, su cui Trenitalia non ha mai puntato. In pubblico l’Ad di Fs Mauro Moretti (pronto a passare a Finmeccanica) attaccava l’autotrasporto perché “bisogna smetterla di dare un miliardo all’anno ai camionisti”, e Uggè gli rispondeva ricordando i miliardi che lo Stato versa alle Fs. Acqua passata. Poche settimane fa, in piena polemica sui compensi dei manager, Uggè ha difeso l’incauto Moretti: “Ha portato una grande rivoluzione nel trasporto sul ferro, portando enormi benefici agli italiani”. Solidarietà tra sussidiati.
Da Il Fatto Quotidiano di mercoledì 23 aprile 2014