Conosco Luigi Nieri, oggi vicesindaco di Roma, da molti anni. Ho collaborato con lui in progetti politici, sociali, culturali. L’ho sempre trovato al nostro fianco nelle battaglie di giustizia in favore della massa di poveracci che affolla le nostre carceri. I più emarginati, i meno tutelati, quelli che in carcere fanno il grande numero. Ho visto Nieri girare per le galere, per i centri di detenzione per stranieri, per le periferie romane a soccorrere immigrati pestati da squadrette improvvisate di rondisti. Il polverone attorno alla sua telefonata con l’occupante dell’Angelo Mai mi sembra sciocco e fuori mira.

Primo: Luigi Nieri proviene dalla storia delle occupazioni di case a Roma. È una storia che non ha mai rinnegato. Di più: è da quella storia che ha fatto ingresso in politica, è da lì che ha avuto il consenso, la stima e la gratitudine della gente che lo ha votato, è per rappresentare quella storia che è stato eletto. Tradirebbe il proprio mandato se non lo facesse.

Secondo: da nessuna parte il nostro diritto penale vieta di intrattenere rapporti con una persona indagata. La telefonata incriminata non ha niente di criminale, ed è anzi il naturale lavoro di mediazione che deve fare un amministratore. Si indigna ora l’opposizione capitolina, che chiede le dimissioni di Nieri. Quella stessa opposizione che per un paio di decenni ha telefonato a un indagato illustre, oggi messo alla prova presso i servizi sociali.

Terzo: quando, seguendo la lezione di Lugi Ferrajoli, parliamo della necessità di andare verso un diritto penale minimo, ci riferiamo a un diritto penale che sappia dirigere energie e risorse contro i comportamenti di gravità tale da giustificarlo. L’intercettazione della telefonata di Nieri dimostra ancora una volta quella cultura ossessiva che fa dissipare le forze che servirebbe concentrare su ben altre faccende. Chissà quanti pochi telefoni non vengono intercettati.

La storia delle occupazioni è antica e variegata. Sappiamo bene del racket e della malavita, ma sappiamo anche delle sacrosante lotte per il diritto all’abitare, di tanti immobili inutilizzati o sotto utilizzati e restituiti alla vita collettiva o, ancor più, divenuti alloggio essenziale per famiglie ridotte in una strada. Noi abbiamo subito da poche settimane l’occupazione della nostra sede, che a suo tempo ho raccontato a caldo su queste righe. Per come si erano svolti i fatti, tutto faceva credere in un’azione da piccola criminalità di quartiere per cacciare un’associazione scomoda. Forse mi sbagliavo. Alcuni giorni fa sono tornata in quel palazzo, che non avevo più voluto rivedere. Le tende a quella che era la nostra finestra facevano immaginare un’abitazione famigliare. La postina, incontrata per caso, mi ha detto che era appena nato un bambino. Quel giorno quella che credevo essere una massa in scena ruotava attorno a una ragazza incinta che sosteneva di dormire dentro una macchina. Noi, certo non senza difficoltà, abbiamo cambiato sede e continuiamo con le nostre attività. Se lei vive lì, sono contenta che sia così. Se non ci vive, continuo a credere che le istituzioni debbano porsi il problema di dove abiti oggi con il suo bambino.

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