Bergoglio nell'omelia durante la cerimonia di canonizzazione parla di "due uomini coraggiosi" e definisce San Giovanni Paolo II papa "della famiglia" e San Giovanni XXIII un "pastore, una guida-guidata"
Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono santi. “Hanno conosciuto le tragedie del XX secolo, ma non ne sono stati sopraffatti”, ha sottolineato Papa Francesco nell’omelia della Messa delle canonizzazioni, celebrando con in mano la croce astile che fu di Giovanni Paolo II. Accanto a lui il Pontefice emerito, Benedetto XVI, che ha concelebrato con il suo successore. Per Bergoglio gli insegnamenti di Roncalli e Wojtyla non sono una pagina chiusa nella Chiesa del Papa argentino, anzi proprio a loro Francesco ha affidato il cammino dei due prossimi Sinodi dei vescovi sulla famiglia e il conseguente dibattito sulla comunione ai divorziati risposati. “San Giovanni XXIII e San Giovanni Paolo II – ha affermato Bergoglio – hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli. Non dimentichiamo che sono proprio i santi che mandano avanti e fanno crescere la Chiesa. Nella convocazione del Concilio Giovanni XXIII ha dimostrato una delicata docilità allo Spirito Santo, si è lasciato condurre ed è stato per la Chiesa un pastore, una guida-guidata. Questo è stato il suo grande servizio alla Chiesa; è stato il Papa della docilità allo Spirito. In questo servizio al popolo di Dio, – ha aggiunto Bergoglio – Giovanni Paolo II è stato il Papa della famiglia. Così lui stesso, una volta, disse che avrebbe voluto essere ricordato, come il Papa della famiglia. Mi piace sottolinearlo mentre stiamo vivendo un cammino sinodale sulla famiglia e con le famiglie, un cammino che sicuramente dal cielo lui accompagna e sostiene”.
In un altro passaggio dell’omelia Francesco ha sottolineato che “San Giovanni XXIII e e San Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto. Non hanno avuto vergogna della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di Lui, della sua croce; non hanno avuto vergogna della carne del fratello, perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù. Sono stati due uomini coraggiosi, pieni della parresia dello Spirito Santo, e hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia”.
L’evento dell’anno si consuma in una piazza San Pietro trasformata per l’occasione in una vera e propria “Woodstock della fede“. Notte sotto il cielo di Roma per migliaia di pellegrini, polacchi e bergamaschi in primis, che sono giunti nel cuore del potere papale per vivere le canonizzazioni dei due Pontefici più amati del Novecento, Angelo Giuseppe Roncalli e Karol Wojtyla. Il “Papa buono” arriva sulla cattedra di Pietro nel 1958 e in soli cinque anni di pontificato tocca il cuore dell’umanità, rompendo ogni muro ideologico, rinnovando nella continuità, come dirà lui stesso, un Chiesa arroccata su posizioni anacronistiche, ancora fiera delle sue “scomuniche Urbi et Orbi”. Roncalli chiede alla sua Chiesa di “aggiornarsi” e convoca inaspettatamente lo “tsunami” del Concilio Ecumenico Vaticano II: non si parlerà di dogmi, ma si dovrà riflettere sulla vita della Chiesa alla luce delle grandi trasformazioni del mondo contemporaneo per parlare all’uomo di ogni tempo e comunicare il messaggio cristiano di pace e di riconciliazione. Duemila e cinquecento vescovi di ogni latitudine del globo si ritrovano a Roma per la prima e unica volta nella storia della Chiesa.
Il magistero di quello che era stato eletto come “Papa di transizione” è segnato fin da subito anche da gesti che consacrano Roncalli nel cuore della gente, credente e non. Dall’abbraccio con i piccoli malati dell’ospedale pediatrico “Bambino Gesù” a quello ancor più commovente con i detenuti del carcere romano di “Regina Coeli”. Fino al testamento al mondo, l’enciclica “Pacem in terris”, e la fondamentale distinzione tra “l’errore e l’errante”. Gesti che oggi richiamano quelli di Bergoglio che, non a caso, se fosse stato eletto Papa nove anni fa, nel conclave del 2005, si sarebbe chiamato Giovanni XXIV. Quella di Roncalli è la svolta della Chiesa che il suo successore, Paolo VI, coglie in pieno traghettando il “transatlantico” del Vaticano II al riparo da quelli che Roncalli nel discorso di apertura del Concilio aveva definito “profeti di sventura”. Una rivoluzione per la Chiesa che consente, il 16 ottobre 1978, al primo Papa dell’Est di salire sulla cattedra di Pietro. In ventisette anni di pontificato Giovanni Paolo II ha incarnato il papato trasformandone indelebilmente il ruolo. Dopo il suo lungo regno è impensabile che i vescovi di Roma non usino, come ha fatto lui, i viaggi apostolici nei cinque continenti come mezzo proficuo di governo di colui che è a pieno diritto il “parroco del mondo”.
Ma l’eredità preziosa e immortale di Wojtyla sono i suoi giovani, quelle “sentinelle del mattino dell’alba del Terzo millennio cristiano” nel quale il Papa polacco ha traghettato la Chiesa cattolica. La “generazione Wojtyla” che ha camminato con Giovanni Paolo II in ogni latitudine del pianeta e che è stata sempre invitata dal “globetrotter di Dio” a messaggi controcorrente: “Voi – disse loro il Pontefice polacco nell’indimenticabile veglia della Giornata mondiale della gioventù di Tor Vergata nel 2000 – non vi rassegnerete a un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti”.
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