Mi ha molto colpito la notizia del presunto ritrovamento del vocabolario di Shakespeare stampato a Londra nel 1580, con tanto di sue annotazioni autografe.
Tale “scoperta”, potrebbe essere o una mera operazione commerciale oppure – si spera – una particolare generosità bibliofila dei due acquirenti per permettere agli appassionati di immaginare l’utilizzo di tale vocabolario, “luogo” delle parole per eccellenza.
Shakespeare inventore di nuovi vocaboli cercava, forse, all’interno di un dizionario delle variazioni sui temi della sua opera, quasi da non lasciare nulla al caso, generando frasi indimenticabili.
Gli appunti del Bardo, annotati a margine del testo, potrebbero essere a loro volta nuovi indizi di lettura, affluenti per fiumi più ampi da ricercare nelle storie senza tempo. E questo sarebbe sensazionale.
Una cosa è certa, Shakespeare fa sempre parlare di sé nel bene o nel male. Egli è ancora una sorta di alchimista delle parole con formule magiche capaci di andare sempre oltre il normale confine della letteratura. Il vocabolario di Shakespeare suscita in chi scrive una particolare attrazione forse perché addentrandoci in ogni parola c’è la fonte della fantasia; il geniale autore aveva forse capito che vi sono parole che tra le pagine brillano di una luce particolare per evocare immediatamente una scena o una metafora.
In questo nuovo e intrigante giallo letterario, tale vocabolario sembrerebbe essere a tiratura limitata e la leggenda vorrebbe che sia stato appunto usato da Shakespeare per affinare il proprio linguaggio. Conoscere a fondo le parole determina uno stile e ciò potrebbe meglio evidenziarsi, se veritiere, dalle annotazioni con i riferimenti alle sue opere; in questo senso la scoperta sarebbe mirabile se non altro per l’enorme numero di vocaboli, più di ventimila, usati dal Bardo che lo rendono unico nel panorama della letteratura con la sua impronta indelebile.
Shakespeare è stato capace di commuovere e divertire creando “incontri” tra le generazioni con la forza di parole aventi il potere speciale di travalicare il tempo e annientare le distanze fisiche. Una sorta di “dizionario girevole” delle emozioni, come del resto sono tutte le sue opere, che non risentono dei passaggi epocali, grazie ad un linguaggio universale.
Se la scoperta si rivelasse vera, allora si aprirebbe una nuova e luminosa pagina tra le tante pagine già conosciute.
Una nuova pagina che consentirebbe di conoscere lo Shakespeare studioso, ricercatore e attento al valore della singola parola; come un cercatore d’oro che setaccia il fondo del fiume per scartare il materiale che non serve per trovare la pagliuzza, anche piccola, integra e pura. Ecco la ricchezza delle immagini, la musicalità, il contrasto tra realtà e immaginazione! L’uomo che usa vocaboli per descrivere il mondo dei sogni e quello delle tragedie o delle commedie ispirate all’eleganza dei classici.
Uno stile riconoscibile potrebbe, finalmente, fugare tutti i dubbi in ordine alla riconducibilità di Shakespeare quale unico autore delle sue opere. Un vocabolario per misurare le parole, per dosarle al punto giusto e per entrare nella metrica del verso. Una continua ricerca etimologica per non sbagliare, ma anche per ritornare all’origine del significato di parole usurate dall’oralità.
Per tutto questo, sarebbe auspicabile che non si tratti solo di “molto rumore per nulla” e che Shakespeare avesse veramente utilizzato tale vocabolario, quale base della sua innovazione nello stile; e di tante storie che, ancora oggi, con la loro intensità riempiono i teatri di emozioni e i lettori di parole attuali, scritte ieri e ancora buone per domani.