Un’eccezione nel suo campo, e non solo. A 34 anni, Sabina Leonelli è professoressa di filosofia della scienza all’Università di Exeter, direttrice associata presso l’inglese “Exeter Centre for the Study of the Life Sciences” e ricopre incarichi per organi internazionali come l’Associazione Europea per la Filosofia della Scienza (EPSA) e la Giovane Accademia Globale (GYA). Ha un figlio piccolo, e un altro in arrivo. Come riesca a conciliare questi aspetti, così importanti nella vita di una donna, lo spiega con una semplicità disarmante: “Lavoro 50 ore a settimana e cerco sempre di ricavare qualche ora al giorno per stare con mio figlio, giocare con lui. Per la prima maternità sono stata a casa soltanto due mesi, e anche per questa gravidanza non avrò molto più tempo”. La gestione della famiglia di Sabina è stata decisa a tavolino da lei e suo marito (belga), portandoli a fare scelte non scontate: “Volevamo una famiglia solida. Mio marito è matematico, e non sarebbe stato possibile conciliare le nostre carriere accademiche o pensare di proseguirle nella stessa università. Analizzando la situazione abbiamo capito che il lavoro che dava maggiori garanzie era il mio, quindi mio marito ha interrotto la sua carriera universitaria. Ora fa il web designer, il che gli permette di lavorare spesso da casa, occuparsi di nostro figlio e spostarsi di sede per seguirmi”.
Da gennaio, per quattro mesi, Sabina è Visiting Scholar al Max Planck Institute per la Storia della Scienza di Berlino. Un’offerta prestigiosa che ha potuto accettare trasferendosi provvisoriamente con il marito e il figlio (che ora ha 3 anni e mezzo) in Germania. Sta anche scrivendo un libro che spera di riuscire a concludere prima di partorire tra qualche settimana. Che all’estero esista una tutela della maternità tout court? Non esageriamo. Vincitrice di un finanziamento europeo di ricerca della durata di cinque anni, Sabina racconta che l’assenza per maternità non è neppure contemplata nella borsa di studio. “C’è da dire che i casi simili al mio non devono essere stati molti. Non è particolarmente frequente che una donna si occupi di filosofia, e fra le colleghe non sono molte quelle che progettano una maternità”.
Eppure, Sabina si è ritagliata un ruolo di prestigio a cui vanno aggiunti riconoscimenti importanti, una lunghissima lista di pubblicazioni, e l’assegnazione di dottorandi e ricercatori che la affianchino nei suoi progetti presso l’università inglese. Sabina è crescita in una famiglia bilingue (la madre è greca), per cui l’idea di lasciare l’Italia non è mai sembrata un’amenità. Finito il liceo ha conseguito laurea triennale e master a Londra, per poi trasferirsi in Olanda per il dottorato e tornare in Inghilterra a proseguire la carriera accademica. Data la sua innata franchezza, le chiediamo quanto un percorso così sia economicamente impegnativo, e se lo suggerirebbe ad altri: “Nel mio caso, i primi anni sono stati quelli in cui ho avuto bisogno dell’aiuto della mia famiglia e in cui arrotondavo lavorando come cameriera la sera. Il resto l’ho fatto con borse di studio. All’estero ci sono possibilità per studiare con finanziamenti o prestiti da riscattare quando si trova un lavoro. E’ un percorso duro e competitivo. Specialmente ora l’università inglese costa molto di più di quando l’ho fatta io, ma è un percorso che consiglio in particolare a studenti interessati a conciliare gli studi umanistici con quelli scientifici, e l’apprendimento con la capacità di applicare le proprie conoscenze al di fuori dell’universita”.
Inoltre, il mondo universitario italiano non è dei più dinamici. “In Italia – spiega Sabina – ti preparano più che altro sulla storia della filosofia. In gran parte dell’educazione umanistica manca un importante passaggio, ossia l’incoraggiamento a costruirsi un proprio pensiero critico, a elaborare un’opinione. Molti dei miei colleghi che operano in Italia sono persone altamente preparate, ed è importante anche per loro muoversi in un network europeo che fornisca giusti agganci e maggiori conoscenze. Purtroppo la mancanza di finanziamenti adeguati e la natura conservatrice dell’accademia italiana ostacolano la circolazione di conoscenze e nuovi metodi di insegnamento, e quindi la partecipazione del mondo umanistico italiano nell’ambito della ricerca internazionale. Io continuo a collaborare anche con l’Italia, e sono contenta di averci ancora a che fare per motivi professionali, oltre che personali. In Inghilterra però sto bene, di questo paese amo la meritocrazia, il fatto che siano resi evidenti i criteri di valutazione e i fronti su cui lavorare per migliorarsi e fare carriera”.