‘I have a drone’, ma il bomb-maker di Al Qaeda la fa franca
“
I have a dream“. O “
drone“? Il guastafeste di Obama deve aver fatto non poca confusione la scorsa settimana. Si sarà ritrovato nell’Ovale della Casa Bianca a riflettere su tutte quelle dannate volte che ha citato Martin Luther King nei suoi “sermoni” di Stato. Poi avrà alzato il mento noncurante e detto “
sì, io un sogno ce l’ho, ma ho anche un drone: attaccate“. Perché non riusciva proprio a sopportare l’idea che solo qualche giorno prima
un video diffuso dalla Cnn aveva ritratto centinaia di jihadisti radunati a cielo aperto in un luogo imprecisato dello Yemen facendogliela sotto il naso. A lui e alla Cia, tirata in ballo dall’opinione pubblica mondiale per l'”occasione mancata”.
Quindi è partito il contrattacco. Con qualche giorno di ritardo ma bisognava fare piazza pulita, giusto per ricordare chi comanda. Un’azione a tenaglia:
65 morti, tra cui anche diversi civili. Neutralizzati diversi elementi importanti di Al Qaeda.
Alcune voci hanno sostenuto che un’incursione avrebbe preso di mira un veicolo con a bordo Ibrahim al Asiri, l’uomo delle bombe coinvolto in molti piani eversivi. Però non ci sono conferme che sia tra gli uccisi. E’ ritenuto essere il principale esperto di esplosivi dell’Aqap, molto vicino a Nasir al Wuhayshi, l’ex segretario personale di Osama bin Laden ed oggi numero due dell’organizzazione dopo Ayman al Zawahiri.
Al Asiri, più noto con lo pseudonimo di Abu Saleh, è il “bomb-maker” per eccellenza di Al Qaeda. Saudita, classe 1982, quattro fratelli e tre sorelle. Nasce da una famiglia pia di militari. Il 3 febbraio del 2009 sia lui che il fratello, Abdullah, sono finiti nella lista dei “most wanted” di Riyadh. Tra gli ambienti del terrore Al Asiri è conosciuto soprattutto per aver progettato e realizzato le cosiddette “mutande-bomba“, un sistema esplosivo cui le cellule qaediste yemenite hanno fatto ricorso in diverse occasioni.
La più clamorosa è stata nel 2009: l’ordigno, abbastanza inusuale, venne usato da
Faruk Abdulmutalleb nel fallito attentato del giorno di Natale al jet Northwest. La sperimentazione cadde però, qualche mese prima, proprio sul fratello di Al Asiri in un altro attacco condotto contro un esponente della sicurezza saudita, il principe Nayef. Anche in quella circostanza la bomba – composta da 100 grammi di pentrite e un fusibile chimico – era nelle mutande (ma con una carica ben più potente e attivata da un telefonino), nel retto del kamikaze, unica vittima dell’azione. Infatti,
di Abdullah non rimase nulla che il busto.
L’anno dopo due pacchi contenenti un ordigno esplosivo uno e un detonatore l’altro sono stati rinvenuti in due aerei cargo negli scali dell’East Midlands (Regno Unito) e Dubai (Emirati Arabi Uniti). A fabbricarli, ancora una volta, era stato Al Asiri. Che a quel punto gli Stati Uniti non hanno potuto fare a meno di inserire nella loro black list. Successivamente l’intelligence Usa lo ha creduto più volte erroneamente morto.
L’ultimo tipo di ordigno la cui realizzazione è stata attribuita ad Ibrahim al-Asiri sono le micro-bombe nascoste nelle cavità del corpo. Ritrovato nel 2012, il “foglietto illustrativo” ben descriveva la tipologia di esplosivo probabilmente – come ha osservato qualcuno – già utilizzato nel 2009 per l’attacco al principe Nayef. Si tratta di ordigni impiantati anche chirurgicamente, privi di componenti metallici affinchè non siano percepiti dai metal detector degli aeroporti.