Per capire qualcosa in più di almeno una parte del Veneto la visione del film Primo amore di Matteo Garrone è molto utile: visione caldamente consigliata soprattutto agli amministratori di questa bellissima e non di rado sconcertante terra.

Girato a Vicenza con qualche location nel veronese (l’antica vasca termale di Caldiero) la storia racconta molto più di un’ossessiva e patologica storia d’amore. Benché girato ormai dieci anni fa, dallo stile narrativo del film emerge un attualissimo sfondo antropologico in cui la storia è immersa, usi e costumi veneti in cui tradizione (poca) e postmoderno (molto) s’illuminano a vicenda con stridore. All’ascolto s’impone la cadenza veneta restituita in modo magistrale da Vitaliano Trevisan (anche sceneggiatore).

Già, la cadenza dialettale: con sapiente uso di pause e strascinamenti sonori Trevisan perlustra il dialetto veneto intersecandolo con un italiano affaticato e rende visibile in filigrana il modo d’essere di un certo veneto, soprattutto nella provincia. Nelle pause e nei silenzi Trevisan sa infilare tutta l’austera solitudine di un uomo/testimone di un laborioso popolo che oscilla tra generose aperture multiculturali e chiusure indipendentiste, confuso tra un timido, ma impellente bisogno di necessaria condivisione affettiva e un impoverimento simbolico per eccesso di materialismo, oscillante tra la salubre apertura amorosa ed erotica all’altro da sé e la rigidità patologica del “paron a casa mia” che tutto e tutti controlla.

Tutte manifestazioni in qualche modo riconoscibili per le strade, ad opera dalla parte migliore o peggiore, o un po’ dell’una e l’altra (dipende dai gusti politico-culturali di ciascuno), dei veneti.

Imprenditore dell’oro con piccola azienda in crisi, il solitario Vittorio interpretato da Trevisan scivola su una china patologica. Incontra una giovane, interpretata da Michela Cescon, grazie ad un’inserzione e inizia così una storia di possesso e gestione imprenditoriale del corpo di Sonia che si trova costretta per coercizione amorosa a diete feroci con tanto di bilancio (e bilancia) quotidiano in termini di grammi e chili.

Tutto ciò per giungere all’essenza dove la concretezza e la metafora dell’oro, di cui Vicenza è capitale italiana, fa da sfondo. Solo là, in quel punto di purezza paragonabile all’oro e che per il corpo umano si tradurrebbe per Vittorio in una magrezza anoressica, il protagonista riconosce il segno d’amore come unico e tangibile. Là si concreta la delirante possibilità di condizionare i processi della vita dell’oggetto d’amore a proprio uso e consumo.

Il cibo ai senza dimora è in questi giorni oggetto di polemica a Verona: il sindaco e la popolazione che egli ritiene legittimamente di rappresentare hanno vietato la distribuzione dei pasti ai senza tetto in centro città, mi pare d’aver capito.

Altri provvedimenti, se non ricordo male, impongono di non mangiare in vicinanza di piazze o monumenti nel centro storico e le panchine a Verona, com’è noto e tangibile, hanno spesso un divisorio per rendere impossibile qualsiasi sonnellino post pranzo. Come segno d’amore per la città dell’amore è quindi consigliabile che il turista s’infili in uno dei numerosi ristoranti del centro a gratificare quella che suppongo essere una delle categorie più consenzienti verso l’operato del sindaco. E il consenso, infatti, sembra dare ragione al primo cittadino che in prossimità delle elezioni ribadisce alcuni concetti “per la sicurezza” che vengono innanzitutto approvati, va detto chiaramente, dalla maggioranza dei cittadini veronesi.

Pur con storie molte diverse tra loro sia il Vittorio di Primo amore, in dimensione privata, che alcuni zelanti amministratori veneti, in dimensione pubblica, mostrano di sapersi attenere piuttosto bene, forse senza rendersene conto, a quei dispositivi del potere in cui, citando Foucault, il corpo è il luogo nel quale il medesimo potere s’addentra. Il corpo espone il potere a cui è sottoposto nascondendosi, per decoro. Oggi il turbo liberismo fa valere la libertà del soggetto nella misura in cui esso è presentabile.
Il decoro (del corpo, della piazza) sembra ormai essere più una questione di forma che di sostanza. A Verona, e certamente qua e là nel Veneto, decine e decine di persone dormono per strada nascostamente, ma sotto gli occhi di tutti e ogni giorno devono sostentarsi con il cibo rimediato dalla generosità di molte associazioni. Sonia nel film di Garrone è costretta ad alimentarsi quel tanto per reggersi in piedi e mangiando di nascosto da colui che sostiene d’amarla.

I personaggi, immaginari o reali che siano, chiamano ad uno sfondo privato e sociale. Quello sociale è amministrato con una propensione a nascondere l’indecoroso per apparire pulito e ordinato, in forma. Il Veneto va certo e soprattutto visitato per sue molte bellezze e per la sua grande ospitalità, ma vale la pena di scorgerlo anche alla luce di quel bellissimo trattato antropologico che è Primo Amore, un film che, forse al di là delle stesse intenzioni di Garrone (ma l’inquadratura finale su Vicenza notturna dall’alto è significativa), è simbolicamente più di una balorda storia d’amore, molto più di una storia privata.

 

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