Nelle prossime otto settimane il direttore generale dovrà riscrivere il piano industriale dell'azienda per rispondere alla richiesta di 150 milioni da parte del governo per finanziare il dl Irpef. Oltre alle torri, a rischio anche i contratti a tempo determinato e le sedi regionali
La Rai venderà una quota, al momento minoritaria, della società Raiway, che gestisce gli impianti di trasmissione, per fare cassa e riuscire a far fronte alla richiesta del governo di “partecipare” con 150 milioni di euro di introito da canone, al finanziamento del decreto Irpef. Ma non è detto che questa mossa, in linea con i suggerimenti dati alla tv di Stato dal presidente del Consiglio in sede di presentazione del dl Irpef, sia sufficiente a raccogliere l’intera cifra che, comunque, è considerata “enorme” per le attuali finanze di viale Mazzini. Il cda ha infatti dato anche mandato al dg Gubitosi di valutare se esistano i margini legali per avviare un’azione di ricorso contro quanto stabilito dal decreto, anche se, sempre a parere del dg, non esiterebbero appigli concreti “perché il decreto – questo il commento – è stato scritto bene, in modo difficilmente attaccabile”.
Nonostante le resistenze iniziali, dunque, la Rai comincia a perdere pezzi, anche importanti, come appunto gli impianti di trasmissione che sono uno dei motivi principali a sostegno della convenzione con lo Stato e la conseguente funzione di servizio pubblico, che non a caso dovrà essere rinnovata nel 2016. E li perde, in qualche modo, per volere del governo che ha deciso di prosciugarne le casse senza far corrispondere un’adeguata azione legislativa per il recupero dell’evasione da canone che solo nel primo trimestre di quest’anno è stata quantificata dal Tesoro nell’ordine dei 50 milioni di euro. Per la Rai significa rivedere la sua organizzazione interna, mettendo in ponte anche altri tagli futuri. Entro le prossime 8 settimane, infatti, Gubitosi si è impegnato a riscrivere totalmente il piano industriale dell’azienda che potrà prevedere anche tagli al personale, soprattutto quello su cui è possibile operare in “stato di necessità”.
A rischio, dunque, i rinnovi dei contratti a tempo determinato e quelli dei collaboratori interni, soprattutto le famose “partite iva Rai” che, a questo punto, potrebbero subire un forte ridimensionamento. Sempre che non sia necessario mettere sul mercato anche altri “asset” dell’azienda, comprese le sedi regionali, già finite nel mirino del commissario per la spending review, Carlo Cottarelli e su cui Renzi aveva suggerito accorpamenti “strategici”.
Insomma, la Rai dovrà ripensare se stessa prima che siano altri, a partire proprio dal governo, a ripensarla in modo “restrittivo” e, certamente, meno competitivo. E’ indubbio, infatti, che una vendita, seppur parziale, degli impianti, fatta in gran fretta, non consentirà di realizzare le cifre sperate (si rischia la svendita) e che dunque si dovrà pensare di tagliare anche altrove.
Ieri mattina, per dire, il dg era già nel suo ufficio a viale Mazzini alle 6,30, intento a vagliare i costi dei prossimi mondiali in Brasile per capire dove poter operare ancora dei tagli rispetto ai budget preventivati; qualcuno ha temuto persino che il cda potesse decidere di far saltare l’intera organizzazione per mancanza di soldi. Così non è stato (molto denaro è già stato speso), ma questo dà ampiamente l’idea del clima che si è respirato ieri al settimo piano di viale Mazzini. “Ormai siamo al limite – ha commentato il consigliere d’amministrazione Antonio Verro – ora è davvero in gioco la sopravvivenza stessa dell’azienda, perché non si è mai voluto voluto adeguare il canone Rai ai veri costi del servizio pubblico e, incomprensibilmente, non si è mai neanche intervenuti per contrastarne il crescente enorme tasso di evasione; sottrarre risorse dal canone Rai non comporta quindi alcun vantaggio per la collettività. Significa soltanto togliere risorse al comparto dell’audiovisivo, al mondo della cultura e dello sport e a tutte le attività di servizio pubblico dedicate al territorio e alle categorie sociali più deboli. Non disperdiamo un patrimonio di quasi cento anni di storia”.
Renzi, evidentemente, non mostra altrettanta sensibilità mentre in Rai non hanno potuto fare a meno di notare che, in questo modo, il premier ha sottratto a Grillo l’arma della “moralizzazione” della tv pubblica, così come ora sarà più difficile per il presidente della Vigilanza Rai, l’M5s Roberto Fico, mettere in mora l’azienda sul nuovo contratto di servizio che difficilmente potrà essere onorato allo stesso modo visti i tagli di budget voluti dal governo. Una situazione, insomma, davvero difficile per la Rai, di sicuro la più difficile da quando il cda dei “professori”, guidato da Claudio Demattè, minacciò di portare i libri in tribunale se il governo non avesse aiutato il servizio pubblico con il famoso “decreto salva Rai”. Era il 1992, di anni ne sono passati fin troppi, ma ora l’azienda potrebbe trovarsi di nuovo in condizioni di grave imbarazzo economico, visto che anche le banche, sondate dalla direzione generale, si sono dichiarate indisponibili a finanziare l’intero esborso della cifra richiesta da Renzi. Forse non era il momento più adatto per farlo, ma nonostante questa situazione il cda ha comunque dato il via libera a quattro promozioni a vicedirettore a Rainews 24.