Positivo al Cera nel 2008 e reo confesso di un'autotrasfusione nel 2011, l'ex scalatore modenese di nuovo nei guai per ricettazione: aveva provato a doparsi, da semplice amatore
Denunciato per aver tentato di acquistare farmaci ad azione dopante. Riccardo Riccò ci ricasca, per l’ennesima volta. Oggi lontano dal ciclismo che conta e dai riflettori, da semplice amatore. Secondo quanto riporta il quotidiano La Nazione, il ciclista modenese sarebbe stato il destinatario di alcuni prodotti recanti la scritta “per esclusivo uso ospedaliero”, e rivelatisi proibiti. Il blitz è scattato in provincia di Livorno a seguito di un’indagine coordinata tra la Procura della Repubblica di Livorno e quella di Lucca. A quanto si apprende, l’operazione eseguita dai Carabinieri del Nas ha portato all’arresto in flagranza di un operatore sanitario e di un commerciante, rispettivamente di 50 anni e 49 anni, entrambi incensurati.
I due sono stati fermati nel parcheggio del McDonald’s di Stagno. E gli inquirenti (che in una perquisizione a casa degli arrestati hanno sequestrato oltre 100 confezioni dal valore di circa 15mila euro), hanno scoperto che i farmaci erano destinati a due ciclisti: C.M., livornese di 37 anni residente a Rosignano e Riccardo Riccò, appunto. Famoso per le vittorie al Giro d’Italia e al Tour de France nel 2007 e nel 2008. Ma soprattutto per i casi di doping che hanno sancito la fine della sua carriera. Nel 2008, all’indomani di due vittorie alla Grande Boucle che sembravano poterlo lanciare verso altissimi traguardi (forse persino la Maglia gialla), Riccò fu trovato positivo al Cera, l’epo di terza generazione. Sospeso con effetto immediato, squalificato per due anni e mezzo. Ha provato a tornare alle corse nel 2010, tra promesse di onestà e proclami di vittoria. Non ce l’ha fatta.
Il 6 febbraio 2011 fu ricoverato in ospedale per un malore in seguito ad un allenamento: una vicenda misteriosa chiarita dalle autorità giudiziarie. Al medico che lo prese in cura, Riccò confessò di aver effettuato un’autotrasfusione di sangue che conservava in frigo da giorni, a fini dopanti. Inutili i tentativi di ritrattare e i nuovi contratti firmati con altre squadre: dal Tribunale Nazionale del Coni arriva prima la sospensione, poi la squalifica. Dodici anni, come una radiazione nel ciclismo. E’ terribilmente recidivo, Riccò. E non solo per la giustizia sportiva, anche per quella penale, che in appello lo ha condannato a due anni di carcere con la condizionale. Ora arriva una nuova denuncia, con l’accusa di ricettazione. Ma soprattutto la preoccupazione per una persona che col doping non riesce a smettere neanche adesso che non ha più alcuna vittoria prestigiosa da inseguire. Chi frequenta la sua pagina Facebook sa che Riccò non hai mai accettato la realtà. Sparate sul ciclismo professionistico (più o meno condivisibili), rivendicazioni, foto di allenamenti massacranti, allusioni al doping. L’ossessione di risultati sempre oltre il limite. Quello che troppo spesso ha superato nella sua carriera. E continua superare ancora ora, che non è più atleta. E proprio non riesce ad essere solo uomo, appassionato, semplice amatore.