La Federal Reserve, come previsto, ha annunciato che taglierà gli aiuti all’economia degli Stati Uniti di altri 10 miliardi di dollari, arrivando a 45 miliardi di dollari al mese. Si tratta della quarta volta che la banca centrale americana taglia gli aiuti mensili, che consistono nell’acquisto di bond da parte della stessa Fed per immettere liquidità nell’economia e sono partiti nel settembre 2012 al ritmo di 85 miliardi di dollari al mese. Nel dicembre scoso l’allora governatore della Fed, Ben Bernanke, ritenendo che l’economia Usa fosse sulla strada della ripresa ha annunciato la prima revisione al ribasso (in gergo “tapering”) di quella misura di stimolo. Janet Yellen, che lo ha sostituito a gennaio, ha deciso di continuare sulla stessa strada, confermando anche l’intenzione di mantenere i tassi di interesse bassi a sostegno dell’economia “per un tempo considerevole” anche dopo che l’acquisto di bond sarà terminato. I membri del consiglio della Federal Reserve hanno votato a favore del taglio all’unanimità, spiega la nota diffusa al termine di un meeting di due giorni.
Il sorpasso della Cina. Forse – La decisione della Fed è arrivata nonostante i dati sull’economia statunitense mostrino una ripresa lenta nei primi tre mesi dell’anno. Nel primo trimestre del 2014 l’economia Usa è cresciuta di appena lo 0,1%, peggio delle attese degli analisti: una doccia fredda, soprattutto se si confronta quello scarno 0,1% con la crescita del 2,6% registrata nel quarto trimestre del 2013. Ma il dato, diffuso dal dipartimento Usa del Commercio, è passato in secondo piano nel giorno in cui l’International Comparison Program (Icp), organismo della Banca Mondiale, ha fatto sapere che il “sorpasso” del gigante americano da parte della Cina – atteso per il 2020 – potrebbe diventare realtà già quest’anno. Dopo 142 anni di predominio indiscusso, insomma, gli Stati Uniti verrebbero surclassati da una Cina rampante che nel 2005 valeva appena il 43% dell’economia americana. Il verdetto dell’Icp, però, deriva dalla revisione del valore del Pil calcolato “a parità dei poteri di acquisto”, cioè tenendo in considerazione prezzi e tasso di cambio. In base alla nuova classifica il Pil della Cina nel 2011 rappresentava il 14,9% del totale mondiale mentre gli Usa si attestavano al 17,1%. In proporzione, il Pil cinese ‘aggiustato’ valeva nel 2011 l’86,9% di quello americano. Ma in questi tre anni – secondo i calcoli del Fondo Monetario – la crescita cumulata della Cina è stata del 24% mentre quella degli Stati Uniti solo del 7,6%: abbastanza per invertire, anche se di poco, le posizioni. Per capire gli effetti della conversione a parità di poteri d’acquisto, basti pensare che mentre il Pil Usa 2011 si attesta a 16.102 miliardi di dollari, quello cinese balza a 13.029 miliardi dai 7.133 ‘ufficiali’, perché con un dollaro a Pechino si acquistano molti più beni che a New York. Gli esperti invitano comunque alla cautela: il Wall Street Journal sottolinea per esempio come la parità di potere d’acquisto perda di significato concreto quando il valore effettivo dell’oggetto dipende per lo più dal tasso di cambio. E’ il caso, per esempio, di un iPhone o di un auto tedesca. E’ lo stesso Icp, d’altronde, a spiegare che è difficile comparare le economie avanzate con quelle emergenti o in via di sviluppo: il margine di errore è molto elevato, intorno al 15%, in più o in meno. Abbastanza per permettere agli Usa di tornare a rivendicare lo scettro sottratto nel 1872 al Regno Unito. Fino al prossimo sorpasso, vero o presunto.