In questa Festa del Lavoro 2014 ho deciso di essere a Pordenone, affianco alle famiglie degli operai di Porcia e dell’indotto, in quella che è diventata una delle città simbolo della crisi italiana. Qui i sindacati hanno voluto portare la manifestazione nazionale, qui, così come a Taranto, come a Piombino e gli altri numerosi siti industriali italiani in difficoltà, è necessario ribadire quanto sia importante celebrare il lavoro.
A coloro che sostengono non abbia senso la Festa del Lavoro in un tempo in cui molti sono senza, rispondo che proprio oggi è più necessario di qualche anno fa, quando tutto sembrava andare liscio. E’ fondamentale interrogarsi oggi su cosa sia il lavoro. La prima risposta che mi viene in mente è che lavoro significhi soprattutto democrazia e libertà. Pochi sanno che il Primo Maggio fu abolito dal regime fascista che lo sostituì con un’improbabile “Festa del lavoro italiano” il 21 aprile (Natale di Roma), cancellando così anni di sangue che avevano portato a quella data di respiro internazionale. Il fascismo, come tutte le dittature, attribuiva al lavoro un significato di contributo alla propria causa, senza riconoscerne la profonda valenza di promozione della persona nella società. Il lavoro nobilita e fa cresce le donne e gli uomini, dà loro indipendenza, capacità di scelta, crea democrazia. Non solo la nostra Costituzione lo riconosce a proprio fondamento, ma anche la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, è un diritto riconosciuto sia a livello nazionale, che internazionale. Festeggiare il lavoro non è dunque solo una retorica arcaica di “eroizzazione” del lavoratore, ma rinnovare di volta in volta la nostra adesione alla democrazia sempre e comunque.
La crisi che ha assalito la nostra economia mette a dura prova anche le istituzioni democratiche, ma deve essere vissuta e compresa anche come stimolo a cercare la definizione futura di lavoro. L’attuale modello difficilmente resisterà a lungo e sta subendo grandi trasformazioni, ma non va buttato via il bambino assieme all’acqua sporca. I decenni del dopoguerra sono stati importanti per conquistare uno ad uno diritti fondamentali per il lavoratore e soprattutto l’idea che il datore di lavoro non sia il suo proprietario, ma parte di una relazione contrattuale duale, che riservi diritti e doveri agli uni e agli altri.
Oggi, in Fiat, come in Electrolux, la grande abbondanza di manodopera disponibile sembra aver minato questa conquista. Un certo datore di lavoro sembra voler tornare a dettare le condizioni con il ricatto del così o niente. Lavorare dovrebbe dunque tornare ad essere un semplice mezzo di sussistenza e non più una sfaccettatura della definizione del sé. Questo mi porta ad un altro tipo di lavoro, spesso non associato a questa festa e che pure dovrebbe esserlo. Il lavoro di imprenditore, quello serio di chi cerca la crescita e si accolla il rischio, ricerca continuamente l’innovazione e sviluppa commercio verso i nuovi mercati che si aprono. La grande impresa multinazionale, rappresentata sempre più spesso da freddi contabili seduti nei propri uffici in attesa dei dividendi, occupa, sui giornali e nelle cronache, lo spazio che dovrebbe essere dato alle piccole e medie imprese, da sempre tessuto del paese e che in alcune regioni del nord stanno ricominciando ad assumere, credendo che in questo paese fare impresa, dare lavoro ed elevare lo status della propria famiglia sia ancora possibile.
Un buon Primo Maggio a loro, così come ai lavoratori che vivono situazioni difficili, ai giovani che stanno cercando la propria strada, ai disoccupati e ai cassaintegrati. A tutti loro va il mio pensiero in questo giorno, perché non smettano mai di credere in un domani migliore di un paese che sta faticosamente ripartendo anche grazie alla loro fantasia, forza e capacità di non arrendersi mai.