Economia & Lobby

Uscita dall’euro: il metodo stamina della svalutazione

Tre le frange che propugnano l’uscita dall’euro, vale a dire il metodo Stamina per guarire dalla recessione, i supposti effetti miracolistico-salvifici della svalutazione costituiscono i bastioni retorici della propaganda.

Da un elemento semplice, che anche i meno istruiti credono di capire, nelle varie Lourdes “der webbe”, si imbastisce la mistica della guarigione ricorrendo ad un filo logico (si fa per dire) di questo tenore: i tedeschi sono efficienti, hanno un sistema Paese che funziona, un mercato del lavoro che crea occupazione, la scuola forgia competenze, si investe in ricerca, i politici pizzicati a copiare una tesi si dimettono, quelli corrotti sono una rarità, i grandi evasori fiscali finiscono in galera sul serio, non ad articolare riforme costituzionali. Noi italiani invece ci troviamo metà Paese in mano alle mafie, i leader di tre partiti sono pregiudicati, la corruzione è diffusa, la burocrazia è demenziale, la giustizia è una tragica barzelletta, la scuola è un somarificio, la ricerca langue, le tasse sono confiscatorie. Però noi Italiani, quintessenza della furbizia, fotteremmo tutti con svalutazioni a getto continuo. In tal modo sparirebbe d’incanto il divario con il mondo civile, l’economia si  risolleverebbe senza dover riformare alcunché, i ladri potrebbero continuare a rubare e governare senza conseguenze di sorta. Però i maledetti tedeschi per impedire il dispiegarsi di cotale sopraffina furbizia hanno ordito un subdolo complotto avvalendosi di complicità oscure tra banche, Bilderberg, Trilaterale, gnomi del signoraggio e WTO (mentre si indaga sul ruolo delle Sirene).

Inoltre se solo si potesse accumulare altro debito pubblico avremo un’economia da sogno e un futuro di bagordi tra Montecarlo e Acapulco con il reddito di cittadinanza finanziato da vagoni di moneta filosofale.

Contro la stamina eurexit purtroppo i Guariniello non possono intervenire, anche se – come le iniezioni di intrugli che non guariscono malattie incurabili – la flessibilità del cambio non influisce sulla produttività dell’economia reale (l’unico fattore di crescita sostenibile e di benessere).

Una spiegazione densa ed esaustiva in merito si trova in due articoli a questo link e a quest’altro. Se avete difficoltà con numeri e logica, un viaggio in Argentina, in Venezuela o in Yemen dovrebbe convincervi. Oppure basta un’occhiata ai dati giapponesi: dopo la svalutazione del 30% dello yen il deficit commerciale ha toccato livelli record quadruplicando in un anno e senza miglioramenti in vista.

Ma i Vannoni prestati all’economia e i negazionisti dell’euro insistono che il tasso di cambio dell’euro ha colpito il sistema manifatturiero italiano. Sicuro? Iniziamo dai concetti elementari.

1) Il tasso di cambio tra due monete (alcuni usano il termine valute), ad esempio euro e dollaro, è la quantità di una moneta necessaria per comprare un’unità dell’altra. Oggi per comprare un euro servono circa 1,38 dollari.

2) Ogni moneta ha almeno un centinaio di tassi di cambio, quante sono le altre monete in circolazione nel mondo. Quindi l’euro in un anno, può rivalutarsi rispetto al dollaro e svalutarsi rispetto allo yuan cinese.

3) Il tasso di cambio definito al punto 1) è il tasso di cambio NOMINALE. In realtà quello che davvero conta è il tasso di cambio REALE di cui non si fa cenno nei “toc sciò” per telelobotomizzati.

4) Il tasso di cambio REALE è il tasso di cambio nominale diviso per il livello dei prezzi nei due paesi. Che significa? Lo spiego con un esempio. Comprereste un’auto prodotta in Argentina, perché il tasso di cambio euro-peso si è dimezzato? Chi crede al metodo stamina forse risponderebbe di si. Ma se il prezzo in peso dell’auto prodotta in Argentina fosse triplicato, a dispetto della svalutazione, non vi sarebbe nessuna convenienza.

 5) Ergo va considerato il cambio REALE con tutti i paesi con cui l’Italia ha relazioni commerciali, cioè l’indice del tasso di cambio REALE EFFETTIVO. Che significa? Che se l’Italia, poniamo, esportasse per metà verso gli USA e per metà verso il Giappone, il tasso di cambio reale effettivo sarebbe una media dei tassi di cambio REALI tra euro e dollaro e tra euro e yen. Nella realtà il tasso di cambio reale effettivo è una media di decine di tassi di cambio reali. Questo articolo nel Bollettino Economico della Banca d’Italia spiega come viene calcolato per l’Italia, questo articolo della BCE spiega le varie differenze metodologiche. 

 

La Fig. 1 riporta il tasso di cambio reale effettivo (CRE) mensile dell’Italia dal rientro della lira nello SME nel novembre 1996 al 2014 (qui trovate la fonte dei dati). Un aumento indica una “rivalutazione”, mentre una diminuzione indica una “svalutazione”. Cosa emerge?

1) Il CRE per l’Italia è oggi a 103, quasi esattamente lo stesso livello di quando l’Italia rientrò nello SMEcirca 102.

2) Tra fine 1998 e fine 2000 il CRE ha perso quasi il 20%. Ricordate un boom economico in Italia negli anni in cui l’euro rimase sotto la parità con il dollaro? Io no.

3) Il CRE dell’Italia dopo la bancarotta di Lehman ha ceduto qualche punto percentuale ed è subito ritornato ai livelli precedenti il settembre 2008; poi da fine 2009 si è svalutato e infine da agosto 2012 si è rivalutato leggermente.

Insomma per 17 anni il tasso di cambio reale effettivo ha oscillato per la maggior parte del tempo tra 95 e 105. Non si vede come abbia potuto causare sconquassi.

Del resto basta verificare cosa pensano coloro che, secondo le panzane staminali, dovrebbero risultare miracolati dall’eurexit: gli imprenditori. Una nota del Centrostudi Confindustria intitolata “Uscita dall’euro = svalutazione = rilancio di export e PIL? False equazioni” asserisce “Astraendosi per un attimo dai contraccolpi devastanti della disunione monetaria, la stessa svalutazione è in sé un attrezzo arrugginito che non funziona più bene come un tempo, sempre che produca ancora qualche vantaggio”. A chi non fosse ancora convinto non mi resta che proporre un fantastico affare in Piazza Fontana di Trevi.