La Val d’Orcia fonde al meglio arte e paesaggio, ricordandoci che solo rispettando e curando l’ambiente si può vivere bene utilizzando le risorse in modo rispettoso e non distruttivo.
“Questa valle è un eccezionale esempio di come il paesaggio naturale sia stato ridisegnato per rispecchiare gli ideali di buon governo e creare un immagine esteticamente gradevole”. Questa la motivazione che ha convinto la commissione Unesco a inserire la Val d’Orcia, nel 2004, nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità. La provincia di Siena viene così a detenere il record dei siti Unesco . Ne conta ben quattro; il centro storico di Siena, di Pienza, di San Gimignano e ora la Val d’Orcia. Tanto basta per mettermi in viaggio. Quest’angolo di Toscana attira da anni schiere di stranieri, ammaliati dalla sua bellezza agreste che sta nel profilo morbido delle colline, con i filari ordinati degli oliveti e vigneti, che infondono un senso di serenità e, appaga, come pochi altri posti, il senso estetico.
Un segnale giallo indica l’abbazia di Monte Oliveto Maggiore; da non perdere. Un monastero fondato nel XIV sec., nascosto alla vista da fitti cipressi, quasi mimetizzato nel severo paesaggio delle crete. Un luogo dello spirito che esalta l’arte senese con le sue logge, le terrecotte del Della Robbia, fino al chiostro grande, dove con gli occhi sgranati si ammirano i celebri affreschi del Signorelli e del Sodoma, che “fotografano” la vita di San Benedetto da Norcia, patrono d’Europa.
Questa terra incantata deve aver escogitato qualche ricetta del buon vivere, e finora girovagando in lungo e in largo ho pensato che un possibile ingrediente potrebbe essere; piccolo è bello.
Borghi a misura d’uomo offrono, a dispetto della loro dimensione, grandi opportunità. Penso alle bellissime pinacoteche, chiese e chiostri da lasciare senza fiato, all’estrosità degli abitanti sia dal punto di vista gastronomico che artistico. Questo senso del bello e del buono potrebbe essere l’altro ingrediente, che attrae numerosi professionisti dell’immagine, per farne la quinta di film e reportage.
Con la macchina fotografica al collo attiro l’attenzione di un signore sulla settantina che mi dice: “Se vuoi fare delle foto alla terra che gioca con linee e solchi arati, devi percorrere lo sterrato che da S.Quirico d’Orcia porta a Pienza”. Lo prendo in parola e, imboccata la strada bianca comincia l’avventura. Cammino al ritmo dei viandanti di una volta, la strada sembra perdersi tra i campi arati e le vigne ingiallite da fioriture di brassice. Onde di terre che si rincorrono, colline e crete “addomesticate” a fini di sopravvivenza, terra argillosa, difficile, che frana, scivola, si muove.
Eppure qui si produce uno dei vini più pregiati al mondo: il Brunello di Montalcino. Interessante partecipare alla visita guidata in una cantina del borgo, insieme a una trentina di energumeni americani, attenti alle spiegazioni della gracile cantiniera, che racconta di botti di rovere e affinamento, di lieviti antichi e di tinaia fino al momento clou dell’assaggio.
Arrivo a Pienza con le ombre lunghe della sera, la cittadina d’autore “nata da un pensiero d’amore e da un sogno di bellezza” (G. Pascoli). Splendida, armonica, appoggiata com’è su una collina dominante la valle, frutto di un’epoca: il Rinascimento. E frutto di quell’Enea Silvio Piccolomini, eletto Papa col nome di Pio II, che trasformerà una vecchia roccaforte, Corsignano, suo villaggio natale, in uno studio di architettura, per farne uno dei più begli esempi di progetto quattrocentesco.
Lascio Pienza, il vento è teso per l’arrivo di un temporale, tuoni e fulmini mi rincorrono, un ultimo stop al piccolo grumo di case di Bagno Vignoni tutto raccolto attorno alla vasca termale di acqua calda gorgogliante, acqua che dà da vivere a importanti centri termali molto conosciuti. Ma questa è un’altra storia.