Quarantamila poliziotti e 50 vetture con cannoni d’acqua sono stati impiegati dal governo per impedire ai manifestanti di raggiungere il cuore di Istanbul. Ogni trasporto pubblico è stato interdetto: tutte le metro, gli autobus e i traghetti fermati dalle 6.30 della mattina del primo maggio. Ai taxi e ai dolmush era impedito di raggiungere le vie centrali. Istanbul era paralizzata. Erdogan aveva ammonito: le persone “devono perdere le speranze” di raggiungere piazza Taksim. Il centro della città era una fortezza quasi deserta, centinaia di metri di barricate di acciaio si estendevano come cerchi concentrici dalla piazza centrale.
Nonostante questo migliaia di cittadini hanno cercato di oltrepassare le barricate che proteggevano Taksim sin dalle 8 di mattina. Fino a 5 chilometri da Taksim si poteva sentire l’odore dei lacrimogeni, il rumore delle esplosioni e i cori dei manifestanti che incitavano a non smettere. Il primo maggio è stato lanciato un fortissimo segnale. Nonostante Erdogan abbia vinto le ultime elezioni con il 45% di voti e nonostante i 140 arresti e i 90 feriti della giornata c’è chi non vuole smettere di farsi sentire malgrado le conseguenze siano ogni volta più gravi.
Quella del primo maggio è stata la prima protesta di massa dopo la schiacciante vittoria di Erdogan alle elezioni amministrative di marzo. Il risultato delle elezioni ha lasciato molti con l’amaro in bocca. Il premier infatti era stato travolto da un’ondata di scandali diffusi grazie a Twitter e Youtube. Le intercettazioni pubblicate dai social network scoperchiavano un vaso di Pandora mostrando un primo ministro che non ha paura di usare il proprio potere e la propria influenza per zittire l’opposizione.
Dopo la pubblicazione su Youtube delle intercettazioni in cui il premier, Recep Tayyip Erdogan, intimava a suo figlio Bilal di far sparire un miliardo di dollari, la sua leadership aveva decisamente barcollato. Il premier all’epoca aveva respinto, sdegnato, le accuse parlando di una “montatura” ma ciò lo ha spinto altrettanto frettolosamente a far approvare dal parlamento tutte leggi che amplificavano il suo potere: la legge su Internet (che permette all’Authority per le telecomunicazioni turca di bloccare i siti internet senza l’autorizzazione della magistratura), la riforma per controllare il sistema giudiziario (poi bocciata dalla Corte Costituzionale di Ankara) e quella per ampliare i poteri dei servizi segreti.
La tangentopoli turca esplosa il 17 dicembre e le pesantissime accuse di corruzione hanno causato un’epurazione di 5.000 dirigenti e agenti della polizia, 96 giudici, 10 ministri. Se il blocco di Twitter, il 21 marzo, e di Youtube, a ridosso delle elezioni, aveva scatenato l’indignazione internazionale, al tempo stesso aveva fatto sperare in una possibile rottura netta con il passato. La morte di Berkin Elvan, il quindicenne caduto in coma dopo essere stato colpito da un candelotto di gas lacrimogeno della polizia, avvenuta a due settimane prima delle elezioni è stata la scintilla che ha provocato due giorni di rivolte contro la violenza delle forze dell’ordine e il governo.
Il risultato elettorale contro ogni aspettativa e i sospetti di brogli elettorali hanno avvilito i cittadini che speravano in un cambio epocale. Se da una parte la popolarità del premier è stata rinsaldata e rinnovata dall’altra si avverte la stanchezza e la rabbia dei cittadini come diretta conseguenza di misure così repressive. D’altro canto i risultati delle amministrative sono considerati la prova generale per le attesissime elezioni presidenziali in programma ad Agosto. Erdogan, seppure non abbia ancora annunciato ufficialmente la sua candidatura, ha già pianificato per il prossimo mese un tour europeo in Germania, Paesi Bassi e Francia allo scopo di raccogliere voti in vista delle presidenziali. Mossa astuta, considerando che sono 2.6 milioni i turchi che vivono all’estero, di cui un milione in Germania. La situazione interna del paese continua ad essere tesa: Istanbul e Izmir sono considerate città progressiste, le uniche che potrebbero dare ad Erdogan del filo da torcere sulla strada di una nuova presidenza.
Le elezioni rappresentano un’opportunità, nel caso della Turchia si concretizzerà a breve la possibilità di cambiare rotta o meno, l’unica certezza è che il leader dell’Akp farà di tutto per non perdere questa sfida.
di Susanna D’Aliesio