“Va riconosciuta una certa dose di coraggio” al Piero Pelù in canottiera che ancor più dei rigori del clima ha sfidato, con estremo sprezzo del pericolo e del ridicolo, l’anatema canzonatorio scagliato da Elio e le Storie Tese contro chiunque al concertone del primo maggio ancora si azzardi a “lanciare un’invettiva ai danni del capitalismo”. Bene, l’elenco dei nemici del popolo additati dal cantante fiorentino alla folla straripante di piazza San Giovanni comprende nell’ordine: l’acquisto degli F35, il “boy-scout di Licio Gelli”, la disoccupazione, la corruzione, il voto di scambio, mafia,ndrangheta e camorra. Una lista eterogenea, ma sorprendentemente complementare e integrativa in almeno un punto – il richiamo alla corruzione – rispetto ai contenuti della lettera-programma che lo stesso premier Matteo Renzi e la ministra per la pubblica amministrazione Marianna Madia avevano presentato alla stampa appena ventiquattro ore prima. All’interno di un piano di ampio respiro per “mettere ordine alle regole del gioco”, l’esecutivo ha lanciato la sfida più volte preannunciata al Moloch burocratico, al pedaggio in tempo e denaro imposto da apparati ciechi e sordi a vittime incolpevoli, alla sua cultura formalistica in cui impera la logica dell’adempimento cartaceo, ai suoi codici linguistici autoreferenziali – il famigerato “burocratese”. Una ventata di ambizioni rivoluzionarie imperniata su tre pilastri: ricambio generazionale (una rottamazione 2.0?) e mobilità del personale; sforbiciata a sprechi, doppioni, enti inutili; semplificazione, digitalizzazione, trasparenza nell’accesso alle informazioni sui dati di spesa e sulle procedure. E visto che un po’ di marketing politico non guasta, proprio rivoluzione@governo.it è l’indirizzo email cui cittadini e amministratori potranno inviare considerazioni, suggerimenti, e naturalmente anche critiche – ma solo fino al 30 maggio.

Tutto condivisibile, anzi sacrosanto, per quanto forse si pecchi un po’ di ottimismo ponendosi come primo obiettivo quello di raccogliere in appena un mese ed elaborare in neanche due settimane idee e proposte provenienti potenzialmente da circa tre milioni di dipendenti pubblici e da quarantasette milioni di cittadini maggiorenni. Infatti secondo la stringente tabella di marcia – meglio, tabella di corsa – già il 13 giugno il Consiglio dei ministri approverà la riforma. Viene da pensare che se in Italia vi fossero apparati burocratici capaci di gestire e condurre in porto efficacemente un processo di tale complessità, paradossalmente una riforma non sarebbe così necessaria. Ma anche senza attendere un’improbabile email dall’istrionico Pelù, il premier Renzi e la ministra Madia potrebbero considerare il suo appello una sponda utile per riempire di qualche contenuto la parte più sguarnita del loro progetto in quarantaquattro punti: il rischio corruzione, appunto, pressoché ignorato.

Eppure basta sfogliare il documento “Semplificare” frutto del primo censimento popolare di cittadini (1428 risposte) e imprese (525 partecipanti) sulle ragioni del malfunzionamento burocratico, pubblicato dal dipartimento della funzione pubblica il 14 aprile, per comprendere quanto penosa sia la via crucis affrontata quotidianamente da milioni di italiani. Le tappe più mortificanti sono quelle degli adempimenti fiscali, le procedure in campo edilizio, le autorizzazioni per l’avvio dell’attività d’impresa e per partecipare agli appalti, gli adempimenti per la sicurezza sul lavoro, quelli per accedere a prestazioni sanitarie, in materia di lavoro e previdenza, per la tutela dei disabili. Imperano ovunque disposizioni normative oscure e contraddittorie, procedure interminabili, onerose, inutili, insensate quando non punitive, presidiate da funzionari che le leggi in alcuni casi le ignorano, deliberatamente o per mera cialtronaggine, in altri le impugnano come una clava solo per affossare diritti o impedire iniziative – sempre che non si paghi pegno al “santo protettore”, naturalmente. Meglio tacere delle passate riforme “semplificatrici”, cui si deve soprattutto un aggravamento dei costi sostenuti dagli utenti, forzati a ulteriori adempimenti dai tempi indefiniti.

Nessuna sorpresa allora se l’88 per cento degli italiani sia convinto che le tangenti e i contatti personali sono la strada maestra per ottenere un qualsiasi servizio pubblico – solo in Slovacchia, Cipro e Grecia c’è più pessimismo in Europa. Perché dietro ognuno dei pazzeschi grovigli burocratici descritti dai “delatori” del rapporto, dove – parole di un imprenditore –“le norme sono fatte in modo da essere interpretate in maniera diversa dall’uno o dall’altro” e “1/3 del tempo se ne va per l’esecuzione dei lavori, 2/3 del tempo per ottenere le autorizzazioni”, ogni funzionario diventa miracolosamente titolare di fatto di un potere di fatto assoluto, e dunque irresponsabile. Che potrà utilizzare per far correre o indirizzare su un binario morto una pratica, per interpretare con maggiore o minore indulgenza un testo di legge, per accanirsi o soprassedere in una verifica. Ed è a questi stessi funzionari, di regola legati a doppio filo a politici istigatori o conniventi, che sarà poi chiesto di tradurre in prassi quotidiana le disposizioni della “rivoluzionaria” riforma di là da venire.

E’ vero che ogni cambiamento, e dunque anche quello della pubblica amministrazione, non può che cominciare “dalle persone”; ma se non si sciolgono quelle persone dai comandi della stessa politica e dai vincoli di norme e procedure insensate, inefficienza e corruzione continueranno ad andare braccetto, la pubblica amministrazione sarà percepita come un’entità distante e nemica, piuttosto che come erogatrice di servizi necessari a a realizzare il bene comune. E le buone intenzioni della riforma si perderanno come le parole di Piero Pelù nella notte del concertone del primo maggio…

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